Il problema sono i brand o è l’ipersponsorizzazione? Il caso Yepoda: è polemica su Tiktok
Nell’ultimo periodo su Tiktok non si parla d’altro e i “per te” sono pieni di video a riguardo: si tratta del “caso Yepoda”, un vero e proprio dibattimento tra brand, influencer e utenti consumatori.
La vicenda è diventata talmente virale che nel giro di poche settimane (e se ne sta continuando a parlare) gli hashtag dedicati all’argomento sono letteralmente esplosi.
I risultati parlano chiaro: l’hashtag #casoyepoda ha ottenuto 1.4 milioni di views, l’hashtag #yepodaitalia ne ha ottenute 89.2 mila, mentre l’hashtag #yepoda ne ha ottenute 140.4 milioni.
Il caso Yepoda: dove nasce la polemica e perché?
Nonostante Yepoda sia considerato un brand di cosmetici di alta qualità a favore dell’ambiente, sono numerose le polemiche che il brand ha ricevuto e che hanno creato il caso mediatico tanto discusso. Il caso Yepoda è la conseguenza di una costante diffusione di recensioni negative sui prodotti, di opinioni contrastanti e di tutta una serie di considerazioni legate al brand e al suo modus operandi a livello di marketing.
Seppure limitata a un solo social, il caso Yepoda ha coinvolto un grande numero di persone, tra cui influencer, tiktoker, esperte del settore e utenti di ogni età (consumatori e non). Da una parte la categoria influencer, dall’altra la categoria utente che, vuoi per curiosità, vuoi per convincimento (dettato dall’influencer marketing martellante), o vuoi per una questione di fragilità momentanea (elemento chiave della questione), si è ritrovato ad acquistare i prodotti Yepoda.
Tra coloro che hanno ceduto alla tentazione, una grande parte non ha vissuto un’esperienza piacevole: brufoli, sfoghi, aumento di acne, arrossamenti di ogni tipo. Insomma, una situazione abbastanza fastidiosa.
Inutile dire che i video delle testimonianze abbiano immediatamente scatenato reazioni di ogni tipo: c’è chi dà la colpa a Yepoda, c’è chi dà la colpa alle influencer/tiktoker e al loro copione ripetuto a “pappagallo” e c’è chi infine dà la colpa a chi effettivamente ha scelto di acquistare Yepoda affidandosi a una recensione virale su Tiktok.
Yepoda è realmente un brand di qualità?
Brand di cosmetici che abbraccia le tradizioni coreane di skincare, Yepoda propone prodotti per la pelle del viso completamente naturali, cruelty free, vegani e confezionati in pratici vasetti di vetro. Il brand di K-beauty dona l’1% dei suoi ricavi a progetti ambientali scelti con cura, dimostrando un duplice obiettivo: fare del bene alla pelle e fare del bene all’ambiente.
Tuttavia, i prezzi non sono dei più economici; basti pensare che uno dei set che va per la maggiore – il The treat yourself set – ha un prezzo pieno pari a 141 euro. Cifre non accessibili a chiunque, ma che dovrebbero rispecchiare proprio l’ottima qualità e performance dei prodotti stessi.
Che cosa, allora, è andato storto?
Caso Yepoda e Tiktok: quando la strategia sbagliata supera la qualità del prodotto
Le problematiche del caso Yepoda sono sostanzialmente due: da una parte la sbagliata strategia di comunicazione che il brand ha attuato, dall’altra la debole sensibilità riguardo un argomento così importante come la pelle.
E qui qualcuno potrebbe alzarsi e dire: «Beh, ma alla fine è sempre il consumatore che riempie il carrello e paga per provare i prodotti. Lo scopo di un brand è quello di vendere» – vero, il binomio produzione-consumo funziona esattamente così. Ma è altrettanto vero che dietro un brand ci deve sempre essere una buona strategia di comunicazione, composta dalle giuste parole, da onestà e da un certo tipo di empatia verso il proprio target di riferimento, purché ne abbia uno.
Purtroppo, affermare che «i prodotti Yepoda sono adatti a tutti i tipi di pelle» è forse l’errore comunicativo più grave di tutti, a maggior ragione se si sta parlando di skincare. Ogni pelle è diversa e per quanto le formulazioni possano essere impeccabili, nessun prodotto potrà mai essere adatto a chiunque: è impossibile.
Non a caso, infatti, moltissime ragazze con pelle acneica hanno riscontrato netti peggioramenti dei propri sfoghi, dovendo immediatamente interrompere l’uso dei prodotti Yepoda.
Ipersponsorizzare è davvero così efficace?
Ciò che è accaduto con Yepoda è conseguenza di un’ipersponsorizzazione poco curata, dove l’unico e solo scopo del brand è volere arrivare a più persone possibili nell’arco del minore tempo possibile: la strategia di breve periodo, dunque, si rivela una pessima soluzione.
Decine e decine di influencer e di tiktoker sono state pagate per sponsorizzare i prodotti e per dire sostanzialmente le stesse frasi: è però colpa loro? Avrebbero dovuto sottrarsi al lavoro richiesto o è il brand che avrebbe dovuto muoversi in modo differente?
Ricordiamo che Yepoda è solo l’ennesimo caso “polemica” di prodotti ottimi a prezzi altissimi (ma sempre scontatissimi). Prima di questo c’è stato Hello Body, ancora prima la dibattutissima Fitvia e tanti altri: i brand che decidono di pagare un’app per diventare virali sono numerosi, ma a quanto pare non è questa la soluzione più efficace.
La gara a chi ha la colpa non è costruttiva, ma avrebbe molto più senso basarsi su alcune parole chiave: onestà, informazione, ricerca, valutazione, giudizio e critica. Tutti elementi interscambiabili tra brand, influencer e utenti consumatori.
Informarsi è sempre la chiave, ma essere onesti deve essere la base.