Avevamo parlato di congedo illimitato, perché sembrava essere l’unica soluzione per salvare i millennial, sull’orlo del burnout. “Prendersi una pausa” dopo i due anni di pandemia e home working era una strategia che alcune aziende, soprattutto in America, avevano accolto con entusiasmo. Era o ‘é’?
Intendiamoci, per alcuni lo è ancora, per i millennial in primis, che valutano le offerte di lavoro anche in base ai congedi e alla possibilità di praticare il nomadismo digitale; per altri un po’ meno. Le aziende hanno iniziato a condividere le proprie esperienze sul congedo illimitato e non è andata come previsto, ma non come immaginate voi, probabilmente.
Niente ferie pagate
L’agenzia Unknown, con sede in UK, ha provato a sperimentare il congedo illimitato, e i risultati sono stati così interessanti che Ollie Scott, founder dell’agenzia, ha deciso di condividerli su The Drum.
“Quando abbiamo ricominciato a svolgere la nostra attività di agenzia creativa, in un mondo post-Covid, volevamo offrire tutto ciò che i nostri competitor non potevano permettersi, per reclutare il miglior personale possibile – racconta Scott – Salute mentale? Offriamo terapia di gruppo e individuale. Fitness? Diamo a tutti una tessera palestra. Flessibilità? Ufficio in modalità ibrida. Vacanza? Mmm… Andiamo con ‘vacanze illimitate’ per tutti”.
Ma le vacanze proprio non hanno funzionato. L’obiettivo del congedo era quello di rendere i dipendenti felici, di consolidare il rapporto di fiducia sul lavoro, incoraggiarli a spendere tempo con le proprie famiglie e uscire, per incontrare nuove persone. “Era quello che volevamo? Sì. È quello che abbiamo ottenuto? No“, prosegue Scott.
Ansia da prestazione
Il congedo illimitato non ha funzionato per una semplice ragione: avere la libertà di auto-regolarsi mette ansia, e può raddoppiare lo stress nei dipendenti. Come si fa a sapere esattamente qual è il giusto ammontare di vacanze da prendere, quanti giorni, e distribuiti come?
“È ovvio che quando si parla di congedo illimitato non si intende ‘illimitato’ sul serio, per un’azienda sarebbe insostenibile. L’idea di fondo è che i dipendenti imparino da soli a gestirsi le pause e a regolare il proprio tempo”, afferma Scott. Ma nell’epoca della corsa sfrenata, della competizione sul lavoro e dello stress, abbiamo inconsciamente interiorizzato che prendere una pausa equivale a ‘mostrarsi deboli’; a volte la nostra sindrome dell’impostore ci porta addirittura a pensare che non meritiamo una vacanza.
La soluzione? Ad Unknown sembrano averla trovata, hanno capito che dare troppa libertà intimorisce (forse i tempi non sono ancora maturi), e hanno fissato un numero extra di giorni bonus di vacanza da spendere durante l’anno, preferibilmente distribuiti alla fine di ogni trimestre. “Funzionerà? – si domanda Scott – al momento non lo sappiamo ancora, anche se i dipendenti sembrano di più a proprio agio. Noi continueremo a incoraggiarli“.