La polemica Elle Instagram sugli shorts fa capire la causa della fine dei giornali: sono dei cacasotto
La rivista femminile Elle “osa” criticare gli effetti nefasti dei pantaloncini corti sull’immagine di molte donne. Poi però si scusa. Offrendo il collo al cappio
L’assurda e ridicola polemica Elle Instagram sugli shorts, i pantaloncini inguinali di gran moda, ricorda un detto romano delle borgate: chi pecora se fa, er lupo se la magna. È la metafora perfetta per la morte dei giornali.
I giornali, quelli tipo Elle, Vanity Fair, Grazia muoiono di paura. Da tempo chi li guida, li pubblica, li dirige, li scrive, ha smesso di osare, con senno, ricerca, coraggio e ironia. Che poi erano i motivi per cui uno decideva di andare in edicola e cacciare la grana per comprarne una copia.
Succede che un giorno Elle rilancia su Instagram un articolo critico sulla moda degli shorts. Un articolo che non le manda a dire. Un articolo che dice che sti pantaloncini corti inguinali stanno malissimo con le gambe bianche e flaccide. Più o meno.
Insorge il pubblico delle curvy, giustamente. Che risponde con l’hashtag #indossociòchevoglio. Secondo le curvy è una campagna virale contro la prescrizione intollerabile delle troppe giornaliste Miranda (stile Il diavolo veste Prada) che infestano il pianeta.
E fin qui non c’è niente di strano, tutte che commentano, la solita zuffa da social nella quale intervenire per riempire quei 10 minuti di attesa in Posta.
Le polemiche social sono solo cazzeggio, anche se a volte pericoloso, d’accordo.
Con il #metoo c’è stata gente che è finita in galera. Con una sparata sarcastica (che detta al bar sarebbe passata in cavalleria) D&G hanno perso pezzi di mercato in Cina. Ma qui, in questa polemica tra Elle Instagram e le curvy c’è solo l’esasperazione del politicamente corretto. S’avanza lo spettro del reato di opinione. Il quale, del resto fa capolino in politica, nella Giustizia e perfino nella scienza.
Insomma, si mina il diritto di critica in nome del diritto di critica. Della serie: tu giornale puoi criticare, ma devi evitare almeno 1237 categorie di persone che potrebbero offendersi. Dalle curvy ai transgender, dai vegani ai crudisti, dalle sacerdotesse Wicca alle rappresentanze esquimesi dell’Egitto del Sud.
È così che va sui social: i motociclisti harleysti fanno scudo contro i motociclisti delle naked; gli snowboardisti contro gli sciatori tradizionali, i fan di Vasco contro quelli di Ligabue, gli omeopati generalisti contro gli omeopati unicisti. E l’elenco di “identità” sensibili, statene certi, supera la fantasia.
Detto questo, invece di esercitarsi in un fragoroso chissenefrega, che cosa fanno i giornali? Chiedono scusa. Pazzesco. Rinunciano alle loro opinioni o a difendere i propri opinionisti per inseguire le ragioni di tutti.
Il sacrosanto gioco sadomaso
Una volta, quando i giornali non avevano paura di finire in un frullatore di polemiche, se ne fregavano. L’uscita del settimanale femminile D, allegato a Repubblica è stata accompagnata da una campagna tutt’altro che politicamente corretta. Era il maggio del 1996 e negli spot e sui cartelloni lo si definiva senza timori un giornale per le stronze.
Erano altri tempi: i giornali erano amati dalle aziende che ci investivano denaro. Si poteva osare, avendo dalla propria parte un intero sistema. Poi il giornale poteva avere fan o detrattori, suscitare polemiche o beccarsi denunce, ma c’era una regola che valeva per tutto: quello dei media era un grande gioco sadomaso, una volta le davi, un’altra le prendevi. E finiva lì.
Oggi nella polemicuccia estiva sulle braghette, tocca leggere un direttore che si scusa, si dissocia, si pente e cerca di far pace con chi non ha nessuna intenzione di farla. E ci mancherebbe! Con lo scalpo in mano, da vincitrici, le curvy praticano la tolleranza zero.
Quando non esplodevano, certe polemiche d’estate i giornali erano addirittura costretti a inventarle. Oggi si generano spontaneamente ma fanno paura perché non se ne ha più il controllo.
Ma ci rendiamo conto? Ci era già toccato vedere un titolista licenziato perché aveva definito cicciottelle delle atlete (non “grassone schifose”, “lardose”, “donne cannone”). Non si impara mai niente dall’esperienza.
Un giornale che non ha il coraggio della propria linea editoriale, che non se ne fa vanto a costo di essere impopolare, che non tiene la schiena dritta davanti alle critiche, giuste o sbagliate che siano, dovrebbe chiedersi se non crede più in quella linea editoriale o se ha paura della censura. O, peggio, dell’autocensura.
I giornali hanno sempre ricevuto critiche dai lettori. Alle redazioni si scrivevano letteracce per un nonnulla. Nessuno se ne preoccupava. O le cestinavano le segretarie, o erano pubblicate con una risposta che non si piegava alla critica, pur accettandola.
Chi decideva di scrivere ai giornali doveva superare una serie di pigrizie sane che oggi non ci sono più: prendere carta e penna, pensare bene alle parole e poi dire la sua. E poi comprare un francobollo, trovare l’indirizzo esatto della redazione e andare a imbucare il tutto. Lo faceva soltanto chi aveva un vero motivo per farlo, o chi era così arrabbiato con il mondo da trovare nei giornali il proprio nemico del giorno.
La polemica Elle Instagram sugli short non è un passo avanti nell’emancipazione, è un passo indietro nella convivenza tra le persone. E la colpa non è dei social, ma di chi non ha coraggio.
PS: per quanto riguarda l’impatto della polemica di Elle sul modo di vestire non si rileva alcuna ripercussione. Chi non temeva di mettersi in mostra prima, oggi continua a offrire lo spettacolo delle sue carni in bellavista.
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