Il termine job hopping indica la tendenza, sempre più diffusa, a cambiare diversi datori di lavoro – e perché no, diverse città – nell’arco di un tempo abbastanza ristretto.
Parlando di job hopping non ci riferiamo solo al passaggio da uno stage all’altro, ma anche da un lavoro vero e proprio a un altro, grazie al ventaglio di scelte a oggi disponibile. I cambi, per di più, avvengono spesso con incredibile semplicità.
L’implementazione di portali dov’è possibile visualizzare le offerte di lavoro e la facilità con cui è possibile connettervisi rappresentano il primo passo verso il fenomeno del job hopping.
Non sempre si tratta di ricerca attiva: capita spesso di leggere casualmente annunci interessanti, che attirano la nostra attenzione senza che dietro vi fosse un progetto di cambio strutturato.
Adocchiamo la job description che ci piace e via, con un click carichiamo il nostro curriculum. Mettiamoci l’adeguatezza del nostro profilo insieme a un pizzico di fortuna e il cambio è fatto!
Si tratta di una tendenza che interessa soprattutto i Millennial, la generazione sempre connessa e, forse, un po’ disillusa.
La mentalità della generazione dei nostri genitori è superata e la cultura del posto fisso ha lasciato spazio a un certo grado di flessibilità, che, un po’ per difesa un po’ per resilienza, si è trasformata in una dinamicità che ci fa percepire come noioso lavorare per tutta la vita nello stesso posto.
Di conseguenza diventano accettabili e comprensibili i frequenti cambi di carriera, e cioè via libera al job hopping.
Tra i più importanti driver motivazionali che spingono soprattutto i giovani a cercare un nuovo lavoro troviamo la flexibility e lo smart working, due policy aziendali sempre più diffuse in Italia, che permettono al dipendente di gestire al meglio il proprio tempo. A questi si accompagna l’incremento economico e quindi la crescita di ruolo.
Dal report annuale pubblicato da Linkedin nel 2018, negli USA i Millennial cambiano in media fino a tre posti di lavoro entro i primi 5 anni dalla laurea.
La “fedeltà” all’azienda è andata perduta, l’individualismo ha preso il sopravvento e si preferisce guardare al proprio interesse in termini contrattuali ed economici. E, a quanto pare. Non affezionarsi troppo a un’unica azienda ma cercare di continuo stimoli nuovi sarà una buona ricetta per la felicità?
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