Oltre 600mila lavoratori sono momentaneamente con le braccia in mano a causa delle misure messe in atto per cercare di fare – almeno – uno sgambetto alla corsa dei contagi da coronavirus tra la popolazione.
Poco importa allora l’incidenza anagrafica sulla mortalità del virus. È chiaro che prima si svuotano gli ospedali dei malati quasi asintomatici – moltissimi giovani – e prima la sanità potrà dedicarsi a quei malati più difficili. Incluso qualche millennial. Anche se, per fortuna, la maggior parte di loro ha quella pellaccia dura di chi è cresciuto mangiando merendine contaminate con gli idrocarburi, bistecche arricchite con gli ormoni e pesce al mercurio.
Solo così si potrà riprendere la vita nelle zone rosse e arancioni, quindi il quadro economico e occupazionale.
A dare i numeri esatti, in base agli ultimi dati disponibili del 2018, di quanti siano i lavoratori bloccati per via delle attività chiuse nelle zone più in difficoltà, ci ha pensato Truenumbers. Gli italiani sono ripiombati in un nuovo lockdown per zone. Sono sei le regioni all’interno delle categorie con maggiori restrizioni, in cui bar e ristoranti sono chiusi anche prima delle 18. Valle d’Aosta, Piemonte, Lombardia, Calabria, Puglia e Sicilia.
Questo settore, quello della ristorazione e degli alloggi è il più colpito, assieme a quello delle attività artistiche, sportive, di intrattenimento e divertimento. A parte poche deroghe per il delivery e lo sport professionale, quasi tutti gli addetti sono costretti a stare fermi.
Bar e hotel chiusi: 640mila lavoratori fermi
Si tratta di centinaia di migliaia solo nelle regioni con più restrizioni. Per l’esattezza 640.590 persone, su un totale di un milione e 747 mila occupate in questi ambiti in tutta Italia. È il settore alloggi e ristorazione di gran lunga quello con più addetti con 572.550 lavoratori in Lombardia, Valle d’Aosta, Piemonte, Calabria, Puglia, Sicilia.
La Lombardia, del resto la più popolosa, ne conta da sola poco meno di metà, 278.372, così come conta poco meno di metà dei lavoratori de settore sport, cultura e divertimento, 33.708 su 68.040 compresi nelle regioni rosse e arancioni. In questo caso si deve sottolineare che le restrizioni per questo ambito sono piuttosto uniforme sul territorio nazionale in realtà. In Piemonte invece sono 95.477 coloro che lavorano in hotel, bar e ristoranti, e 10.314 quelli attivi in ambito sportivo o nella cultura e nell’intrattenimento.
E tuttavia quello che conta maggiormente è l’impatto sul tessuto economico e occupazionale di questi settori, ancora più del numero assoluto degli addetti. E si nota bene come in Lombardia l’impatto sia inferiore che in Piemonte e nelle altre regioni. Solo il 6,76% dei lavoratori lombardi è occupato nella ristorazione e negli hotel.
Mentre in Piemonte sono il 6,99% e in Valle d’Aosta, regione molto dipendente dal turismo, addirittura il 19,54%. Qui sono 7.163 persone attive negli hotel, nei bar e nella ristorazione e costituiscono una parte importantissima dell’economia, assieme ai 1.353 del settore sport, cultura e divertimento, che sono il 3,69% del totale, contro lo 0,82% in Lombardia.
Una batosta per i millennial del Sud Italia
Anche nel Mezzogiorno l’impatto di tali restrizioni è maggiore che in Lombardia e nel resto d’Italia, non solo e non tanto per l’importanza del turismo, ma per la minore presenza di altre tipologie di occupazione, quella nell’industria o nei servizi avanzati per esempio.
Essendo più limitato il numero totale degli occupati l’importanza relativa di quelli impiegati per esempio nei bar e nei ristoranti è maggiore. E per esempio i 30.749 che lavorano in questo ambito in Calabria rappresentano l’11,92% del totale complessivo dei lavoratori della regione, cui si aggiungono i 3.353 della cultura, dello sport, del divertimento.
Anche in Puglia e Sicilia, che non sono regioni rosse ma comunque arancioni, sono più del 10% di tutti gli occupati, rispettivamente il 10,87% e il 10,8%, gli addetti del settore alloggi e ristorazione. E 82.414 e 78.374 in valore assoluto.
Il futuro? Misure di sostegno ai lavoratori
Per tutti questi lavoratori, molti dei quali millennial, è stato varato il decreto Ristori, che include anche il prolungamento della Cassa Integrazione e il rafforzamento del Reddito di Emergenza. Anche alla luce dell’ultimo Dpcm si parla di un decreto Ristori bis. Del resto questi settori non sono solo i più colpiti dalla crisi attuale, ma anche i più fragili a livello economico occupazionale, anche prima del covid.
Quelli con margini minori, con realtà più piccole della media e con reddittività inferiore, e con la maggiore percentuale di contratti a termine, oltre che con una porzione significativa di giovani che vi sono occupati. Insomma bene ma non benissimo per i millennial.
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