Fine del mito della donna manager apicale, della girlboss, della capa indiscussa.
Basta chiedere a Ty Haney di Outdoor Voices, Yael Aflalo di Reformation, Audrey Gelman di The Wing e Steph Korey di Away. Queste millennial startupper in rapida crescita, sostenute da venture capital, sono stati tutte descritte come donne boss.
Peccato che, una dopo l’altra abbiano lasciato le loro aziende, spesso tra fischi di giornalisti e blogger a causa delle loro scarse capacità gestionali. Emily Weiss è stata probabilmente l’ultima rimasta in piedi. Ma anche lei è sotto attacco. In un nuovo libro rivelatore Glossy: Ambition, Beauty, and the Inside Story di Glossier di Emily Weiss , la scrittrice Marisa Meltzer arricchisce la narrazione con dettagli poco lusinghieri sul suo background e sulla sua fragile leadership.
Tuttavia non è sempre stato così. Quando Sophia Amoruso rese popolare la definizione nel suo libro di memorie del 2014, #Girlboss doveva essere un termine che sprizzava empowerment. La sua speranza era quella di ispirare le giovani donne a lanciare startup in un momento in cui la maggior parte dei fondatori erano uomini.
Negli anni che seguirono nacque un gruppo di donne imprenditrici, che costruirono imprese rivoluzionarie. Ma conseguentemente anche un certo culto della personalità. Sono apparse sulle copertine delle riviste finanziarie , hanno fatto speech in giro e ottenuto un ampio seguito sui social media.
Essere una fondatrice di startup donna ad alta visibilità si è rivelata un’arma a doppio taglio. Potrebbe aiutare il marchio, ma potrebbe anche essere utilizzata per attacchi mediatici dai quali i fondatori uomini raramente sono toccati. Basti guardare l’inizio, attribuibile alla stessa Amoruso, che ha lasciato il market place di moda Nasty Gal nel 2017 in piena bancarotta. Da lì, abbandonarono tutte le altre negli anni successivi.
Discrezione passo felpato
Donne che non hanno nomi familiari, e il fatto di essere più riservate a volte ha reso loro più difficile ottenere finanziamenti o attirare l’attenzione della stampa. Ma ha anche risparmiato loro alcune delle frecce avvelenate.
In definitiva, oggi si può dire che la prima generazione di donne capo ha contribuito a creare un percorso per le imprenditrici, ma la prossima generazione di fondatrici non dovrà sentirsi obbligata a seguire il loro programma. «Sì, le donne capo sono state attaccate, ma hanno anche dimostrato di poter costruire imprese di successo», dice Renfrew. Resta da capire quale sarà la prossima tappa della leadership femminile.
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