Il 22 maggio 2023 la legge 194 sull’aborto ha compiuto 45 anni, ma sono ancora molti gli ostacoli da oltrepassare per potere festeggiare. La legge che prevede la possibilità per le donne italiane di richiedere l‘interruzione volontaria di gravidanza è ancora oggetto di discussioni e di proteste più che ragionevoli.
Era il 22 maggio 1978 quando per la prima volta veniva pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 140 la legge n. 194 con il titolo: Norme per la tutela sociale della maternità e sull’interruzione volontaria della gravidanza. Sono passati 45 anni da quel maggio e i cambiamenti sono stati lenti.
Leggendo il testo della legge 194 ci si rende immediatamente conto che non si tratta di un testo legato all’aborto in se per sé, bensì di una legge dedicata alla tutela della maternità. Da una parte si vuole prevenire l’aborto spingendo sull’importanza di essere madre, dall’altra si parla dell’aborto in senso pratico, ossia di come procedere per interrompere la gravidanza.
La parola aborto non era vissuta come un diritto, ma come un’opzione concessa solo ed esclusivamente da parte del medico o per motivi di salute, o per motivi legati a questioni sociali. La donna e il suo libero arbitrio, desaparecidos.
Pensate che negli anni Sessanta l’aborto era considerato immorale, in tutti i sensi. Prima del 1978, infatti, l’interruzione volontaria di gravidanza era considerata reato dal codice penale italiano, che prevedeva la reclusione da due a cinque anni, rivolti sia alla donna protagonista della scelta, sia a chi eseguiva la procedura.
Grazie al movimento femminista italiano e a un graduale cambio di sensibilità, la legge sull’aborto in Italia cominciò a essere modificata in modo radicale, di nome e di fatto. Furono proprio i Radicali a sollevare una nuova onda antiproibizionista e riformatrice nei confronti dell’aborto. Dopo tante vicissitudini, dopo non poche polemiche e non poche proteste, finalmente quel 22 maggio 1978 la legge 194 entrò ufficialmente in vigore.
Auguri a una legge che nel 2023 ancora non rispetta le donne: cosa c’è che non funziona nella legge 194 sull’aborto?
Per quanto la legge 194 esista e sia ancora tra noi, purtroppo sono ancora molte le problematiche a essa legate. Sarà anche finita l’epoca degli aborti clandestini eseguiti in Italia con le grucce per gli abiti (sì, è successo davvero), ma la situazione degli aborti eseguiti senza controlli medici (comprando farmaci online di dubbia natura) è ancora alquanto preoccupante, a dimostrazione di quanto l’accesso all’IVG sia, nel 2023, ancora troppo complicato.
Le sfide sul tavolo sono ancora moltissime e la tutela delle donne e delle loro scelte deve essere rispettata in toto. Ad oggi, infatti, se una donna volesse decidere di abortire in Italia, probabilmente circa 7 ginecologi su 10 non glielo permetterebbero. Un dato allarmante, un dato che serve ad aprire gli occhi sul lavoro da fare.
Non solo: in Italia è possibile abortire, ma lo si può fare entro i primi 90 giorni dall’ultimo ciclo mestruale, il che significa andare incontro a tempistiche ristrette e a una burocrazia terribile. Non è così semplice scoprire in tempo di essere incinta, ma soprattutto non è così semplice riuscire a raccogliere tutte le info utili ai fini della procedura. Per non parlare delle difficoltà nel trovare una struttura disposta a praticare l’interruzione volontaria di gravidanza e, ovviamente, un medico che la consenta.
Un percorso che diventa un calvario e che spesso porta le donne a non sentirsi protette: un tempo che scorre inesorabile sotto una pressione sociale pericolosa.
Ah ma c’è la pillola RU486, siamo salve… o forse no
Accanto al metodo chirurgico, l’aborto può essere eseguito anche attraverso il metodo farmacologico. Si tratta di un metodo che prevede l’assunzione di almeno due principi attivi, uno dei quali è conosciuto con il nome di RU486, la pillola della discordia.
Nel tempo sono state effettuate diverse modifiche e attualmente la pillola RU486 presenta alcune limitazioni importanti, come la somministrazione della stessa solo in condizioni di ricovero ospedaliero e non direttamente in consultorio. Nel 2021 durante il governo Draghi era stato reso possibile dare la pillola alle donne direttamente nei consultori e non solamente in ospedale, ma purtroppo tale concessione è lentamente sfumata a causa della resistenza di diversi partiti di regione, specialmente quelli di destra e centro-destra.
Per quanto sia un diritto sulla carta e sebbene esista una legge a riguardo, l’aborto per molte donne rimane un’utopia. Siamo andati sulla luna, ma a diritti siamo messi ancora male.
Se vi interessa il tema dell’aborto, il libro Libertà condizionata di Alessia Ferri sarà perfetto.