Travaglio. Marco Travaglio è una fitta al cuore, un campanello di allarme, il segnale chiaro di cosa può fare all’uomo la vanità. Se nei primi Duemila era stato per molti di noi un faro, se si era reso protagonista della battaglia contro il lecchinismo berlusconiano, se non aveva paura di nessuno perché citava a memoria sentenze e estratti di processi, oggi le cose sono cambiate. Siamo lontanissimi da quel tizio che lottò contro l’editto bulgaro, quello che fece espellere Luttazzi dalla Rai per le sue accuse all’allora presidente.
Marco Travaglio, biografia in breve dalla prospettiva dei Millennial
Ah, che inizio di millennio, vero Millennial? Alcuni di noi facevano già la maturità, altri iniziavano a lavorare per Ryan Air come assistenti di volo adolescenti e sottopagati e giravano il mondo, c’era l’Erasmus e avevamo un unico mito: Marco Travaglio.
Dal 2008: i nostri padri con Repubblica, noi col Fatto Quotidiano. I berlusconiani erano dei gaglioffi assetati di potere e soldi mentre il resto dell’Italia era fatto di romantici intellettualoidi assetati di passera e coolness ma senza ammetterlo. Travaglio stava in mezzo.
Manganellatore e sex symbol, mai di sinistra ma amico della Guzzanti. Perfetto per noi senza santi né eroi. Protetto dal ricordo di Montanelli, temerario, prosecutore di un’operazione simile a quella di Di Pietro con Mani Pulite, parlava finalmente alla nostra gente.
Il fascino dell’antipolitica
Il suo volto secco e privo di dubbi era il nostro scudo, la sua voce, una voce che sembrava prendersi cura di una generazione considerata dai genitori una manica di scansafatiche. Altro che bamboccioni. L’avessero fatto i nostri padri di rigirarsi in un mondo precario, corrotto, in cui ci avevano palesemente fregato. E chi c’era a tenderci la mano, a spiegarci come stavano le cose, a inforcare in punta di penna i nostri nemici politici? Marco Travaglio.
Sono passati vent’anni e tutto è cambiato. Noi siamo cambiati, siamo cresciuti e abbiamo visto l’evolversi dei fatti. Col tempo uno riconsidera tutto… Pure Berlusconi da demone che era è stato riabilitato anche dai più rossi a vecchietto malato di ego. E la politica ormai ci ha dimostrato quello che già di prometteva da piccoli: che è qualcosa di diametralmente opposto alla nostra vita. E anche Travaglio è cambiato.
La prosa di Travaglio
Quella che era il pungente sarcasmo da torinese si è rivelato una tendenza snobistica a svalutare l’avversario. Quel suo essere puntualmente informato si è ingigantito in un complesso di superiorità verso qualsiasi essere umano che non sia lui. Il Fatto, nato per darci ogni giorno “fatti” è diventato un giornale di opinioni. I suoi editoriali fermi e calzanti sono diventati una lista di proscrizione in cui ogni giorno infanga chiunque non si allinei alla sua visione. Conia nometti spregevoli per Bertolaso che diventa Bertoleso poiché ha beccato il Covid-19, chiama Cazzaro Verde Salvini e fin qui niente di nuovo. Ma quei nomignoli che prima ci facevano ridere, adesso sembrano le offese del nonno al bar verso i ragazzini che schiamazzano. Tutta la sua prosa sembra forzatamente ironica.
Il sorrisino di Travaglio
La sua peculiarità più inquietante è il sorriso. Travaglio non ride mai, al limite sorride tra i denti, sibilando. Sembra mandarti affanculo proprio mentre ti fa un sorriso. Con le parole dice una cosa, col volto un’altra. Di solito lo fa per disprezzare qualcuno o per sminuirlo. Quando si sforza di ridere davvero è solo perché sta prendendo in giro ed è inquietante. Si vede proprio che finge e pare godere nell’infierire sull’avversario. Altro aspetto critico: lo sguardo. Fateci caso, non guarda mai in faccia nessuno, nemmeno negli scontri in studio. Di solito guarda ad altezza spalla, o sotto il mento. Punta il soggetto ma non ne incrocia lo sguardo. Se l’anima si legge negli occhi è palese che lui non voglia far leggere a nessuno la sua, o non si interessi di quella altrui. Lo distrarrebbe dal dipingere il suo affresco.
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