Da un decennio assistiamo ad un processo di pauperizzazione del concetto di Fama. E oggi se sei chic non puoi essere famoso, almeno nella Milano bene.
Un giovedì, come tanti a Milano, tra un evento l’altro, con qualche fiocco di neve in più, può capitare di essere ricevuti, come in un salotto, da Tiffany.
Tra prosecco e tartare di salmone, comodamente seduti in poltrona, si captano discussioni, si mixano personaggi particolari: qualche nobile (vero) con qualche tronista.
Le bollicine sciolgono le lingue e rallegrano gli animi, la Marchesa (millennial), in libera uscita dai doveri di moglie/madre, chiacchiera travolgente come un fiume in piena.
Alla constatazione fatta da un suo intimo amico, ostinatamente ventenne e single da anni, di essere una rappresentante di punta delle Suove Signore ( Millennial) della Milano Bene, la Marchesa risponde, piccata e ingenua: “Ma che dici… la Milano Bene è un giro diverso… come dire… è molto più low”.
Applausi.
Come analizzare questa affermazione dal punto di vista sociologico? Se la Marchesa ( più millenaria che millennial ) sposata nell’Alta Finanza, sia per amore che per dadaismo, trova trash la Milano Bene, cosa è successo?
La dame senior milanesi, salottiere, intellettuali o semplicemente mondane, non rigettano questa categoria sociale con tale veemenza. Di certo non si autodefiniscono “bene”, altrimenti non lo sarebbero, ma non contestano la cosa.
Le varie Marta Brivio Sforza, Umberta Gnutti Beretta, Daniela Javarone, Melania Rizzoli, Marinella Di Capua e altre opporrebbero solo un discreto sorriso a una, ovvia, constatazione di essere Milano-Bene.
Quindi è cambiata la categoria o è cambiata la società? Entrambe. Prima gli eventi mondani erano riportati dai mass media classici: per cui i “noti” erano i “soliti noti”, ossia ricchi, nobili (veri, non creati per reality), personaggi dello spettacolo, etc.
A seguito dei talents e dei realities si è creata una grande schiera di “famosi a scadenza”, noti per una stagione o poco più.
Questo fenomeno si è, successivamente amplificato coi social, grazie ai quali dei perfetti sconosciuti senza arte né parte né carte sono riusciti a diventare “noti”.
Non è raro assistere a Milano all’ingresso nel giro della Nuova Milano Bene di ragazzi o ragazze, carini e fotogenici, che sono stati in città sì e no due settimane nelle loro vita ma che su Istagram e Facebook si sono creati una realtà fittizia.
Tra un like ed un poke hanno stretto amicizie virtuali con insiders della moda o della comunicazione che poi, in città, al loro arrivo li portano in palmo di mano.
Il climax di questo fenomeno è stato il reality (almeno di nome) Riccanza. Più belli che ricchi i protagonisti parlavano di un presunto alto tenore di vita e di eredità inesistenti, tra applausi e invidia del pubblico, mediamente più benestante visto che, almeno, si può pagare l’abbonamento Sky.
Un certo ambiente per essere realmente Bene, non si può autodefinire tale. Oggi invece è normale sentir dire: “Noi della Milano Bene”.
Detto ciò, la Marchesa aveva ragione ed aveva fatto un’inconscia analisi sociologica molto precisa: “I Bene”, Millennial, sono nascosti dal velo del tempio della comunicazione globale.
Molto raro, quindi, trovare chi, oggi, sappia fare adeguatamente delle Pubbliche Relazione senza cadere in questo inganno mediatico.
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