Severgnini ha scritto un editoriale sui Millennial poveri. Non ci ho capito un cazzo. Ma io fino a un mese fa non sapevo nemmeno cosa fosse un millennial, non credo di avere ancora interiorizzato il concetto nonostante scriva per una testata che si chiama così. Non ho abbastanza neuroni forse. Il pezzo di Beppe non capisco dove voglia andare a parare, se sia una commiserazione su di noi o una smielata tanto per scrivere. Dice che siamo ossessionati dai soldi. Beh, è vero: siamo Millennial poveri.
Di soldi non ne abbiamo, quindi siamo ossessionati. Beppe nel sommario dice: I millennial poveri s’impegnano moltissimo e accettano spesso orari massacranti. Da principio con entusiasmo, ma poi si chiederanno: perché non ci pagano adeguatamente?
Poi? Ce lo siamo sempre chiesti, Beppe. Questa è la prospettiva che può avere uno che non è nato nella nostra condizione. Io sono nato nell’82 e lavoro da un bel pezzo. Posso dire di non essere mai stato pagato adeguatamente. Sai che novità. Siamo cresciuti negli anni Ottanta con un potere d’acquisto spaventoso. Mi ricordo mio padre che torna a casa col BMW nuovo, i vestiti firmati, le vacanze in giro, le cene. Siamo cresciuti ricchi.
Nemmeno dieci anni dopo avevo mia madre al freddo perché non poteva pagarsi le bollette, io che campavo con paghette dei nonni e del babbo, il babbo che stava attento a ogni spesa. Un album dei Ministri mi pare si chiamasse: I soldi sono finiti. Sintesi perfetta no?
Dopo i venticinque anni ci stavo malissimo per sta cosa dei soldi. Non potermi comprare un parka Stone Island, non poter avere una Leica, un paio di RedWing, non poter viaggiare abbastanza. E sticazzi. Se ci pensi troppo credo ti venga un tumore. Fare lavori fighi come il nostro è pagato pochissimo. Scrivere è pagato pochissimo.
E quindi che dovrei fare? Non scrivere? No, al massimo posso cercare di sfondare e diventare ricco in quel modo ma so che è una scalata dell’Everest. Nel pezzo Beppe parla anche di workhaolic, un fenomeno peso, che penso sia esistito in ogni società. Beh, quella roba non mi riguarda. A venticinque anni, quando lavoravo in magazzino all’Ikea, dopo un tot ore mandavo tutti in culo e mi mettevo a riposare dieci minuti sul muletto. Anche i cubani sorridevano con me. Fare impressione sui capi, “sdarsi” per quella cifra… Non me ne fregava niente. Idem in tutti i lavori d’ufficio che ho fatto.
A un certo punto della mia vita mi sono reso conto che il mio potere d’acquisto era limitato e che la cosa sarebbe durata per un bel pezzo. Facevo parte dell’enorme massa dei Millennial poveri. Mi sono venuti in mente i racconti dei miei nonni sui tempi di guerra. Mesi a stecchetto, mangiavano una patata in tre, si scaldavano bruciando una persiana e illuminavano il buio con delle candele riciclate.
Mia nonna quando eravamo ancora ricchi, pur di non comprare gli elastici ritagliava degli anelli di gomma dalle camere d’aria delle biciclette. Potevano comprarsi l’edicola intera ormai ma gli era rimasto dentro quel retaggio famelico di chi non ha avuto un cavolo. Il cervello memorizza tutto e impara a sopravvivere in condizioni avverse. Tutti i miei eroi sono stati dei morti di fame fino a un certo punto e poi hanno svoltato.
Non dico che sia un bene, ma a volte considero anche la mia vita come un grosso allenamento. Come buona parte dei Millennial poveri ho vissuto mesi in rosso, sono indebitato con l’Inps, devo stare attento a tutto. Fanculo. Mi sto comprando attrezzatura per i miei progetti e sto riuscendo a pagarmela. Non so come. Forse con la volontà. Martina direbbe che è la legge dell’Attrazione. Io non lo so. Ma so che ci riesco.
I soldi sono un veicolo, non un bene di per sé. Devi guardarli come guardi un eccitante, una lampada di Aladino, un desiderio da espriremere. I Millennial poveri che conosco, che stanno lì senza soldi e si lamentano che non hanno i soldi, sembrano dei pidocchi. Io i soldi non ce li ho davvero ma riesco a farmi i capelli da Cirignotta a Milano, mi spruzzo una folata di Fouger Nobile 1492 artigianale comprato tre anni fa e pagato 90 euro e so di dare le paghe.
Sembro Cavour cazzo. Se pensassi ai soldi avrei le occhiaie. Sono anche consapevole che prima o poi arriveranno, mi usciranno dal culo e magari frequenterò i posti che frequenta Beppe e parleranno di me come un caso fantastico, uno di quelli che ce l’ha fatta. Beh se avessi pensato solo ai soldi non ce l’avrei mai fatta.
Beppe, non hai scritto un pezzo sbagliato, ma un pezzo paternalistico. Credo che il motivo sia che è da tanto che non sperimenti la condizione di cui parli.
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