Un territorio vergine che ci spinge un po’ alla fuga un po’ alla conquista. E se sto benedetto Metaverso fosse esplorabile senza ideologie?
Non siamo pronti, e forse è meglio così: «Non abbiamo occhiali leggeri e comodi per stare immersi tutto il giorno. Non abbiamo ancora una velocità di connessione per vivere un’esperienza piena. E serve più potenza di calcolo quantistico nel Cloud» Gustavo Caetano, guru digitale brasiliano.
La domanda se siamo o meno pronti per il Metaverso come seconda vita (che non sia più soltanto un gioco) non è una questione tecnologica. Per quanto tutti siamo coinvolti come consumatori e tester di nuovi device, c’è da discutere quanto la nostra società possa vivere di relazioni non fisiche eppure reali.
Millenarismo e tecnologia
Immaginare come sarà la nostra vita fra 10 anni è interessante, ma come sappiamo per esperienza, ciò che accadrà veramente sarà una delusione rispetto alle aspettative più entusiastiche. E, per contro sarà un sollievo per chi oggi paventa apocalissi di alienazione cyborg.
Quando la scienza e la tecnologia contemporanea non danno risposte, per fortuna arrivano gli artisti. Che hanno visioni del futuro, come dimostrano Charlie Chaplin, Aldous Huxley, William Gibson, Chuck Palhaniuk e molti altri. E che, senza rendersene conto, diventano quei divulgatori formidabili che tutti cercano per capire l’impatto della tecnologia sull’umano.
Oggi il Metaverso nella sua probabile evoluzione è intelleggibile grazie a diversi episodi della serie distopica Black Mirror. Domanda per i guru che sanno già tutto: come spiegheresti il Metaverso a tua nonna? A tua zia? Ai tuoi parenti e amici che al massimo sanno mandare una mail? Eccoci di fronte a quella genialità britannica che se ne frega del politicamente scorretto, che guarda le cose con serissima leggerezza. E ci fa capire.
Metaverso genderless
Tra i vari episodi, quello più credibile è Striking Vipers, rappresentazione verosimile di un futuro nel quale il gioco non è più un gioco e diventa un’attività in grado di mettere seriamente in crisi un matrimonio. O, e qui c’è il genio, di farlo funzionare meglio.
Non spoileriamo per chi non lo avesse ancora visto nonostante sia uscito a giugno del 2019. Danny è un bravo family man, finché il vecchio amico Karl lo istiga a provare un nuovo videogame immersivo. Nella realtà virtuale del picchiatutto Striking Vipers, Danny sceglie di essere un combattente, Karl una combattente. Ciò che succede è prima inquietante, poi sconvolgente, poi si incastra perfettamente nel menage familiare senza intaccare la vera identità e il legame profondo dei protagonisti.
Per quanto brillante non vogliamo paragonare lo sceneggiatore inglese Charlie Brooker ai grandi miti della letteratura o del movimento cyberpunk. Tuttavia a differenza di altre realtà virtuali da serie tv, questa ha oggettive probabilità di avvicinarsi al vero. Se abbiamo già i primi casi di denuncia per molestie sessuali nel Metaverso, questo significa che la Second Life avanzata verso la quale viaggiamo veloci non è più un gioco. Impatta sulla vita reale, crea emozioni reali, devia il percorso che nella first life avevamo previsto.
Dobbiamo averne paura o integrarlo nella nostra vita? Difficilmente impariamo dai nostri errori. Quanti si sono tolti da Facebook, dopo che: una grande percentuale vi ha trovato l’amore della sua vita, un’altra ha scoperto di avere figli, un’altra è stata scoperta nei propri segreti pagandone a volte un prezzo altissimo?
Il fatto che da primitivi diffusori di pollicioni alzati diventiamo avatar gaudenti o rabbiosi non cambierà granché. Saremo comunque in grado di gestire quello che Elena Croci chiama Iperidentità, adatta alla realtà aumentata che viviamo. Non tutti, però. Qualcuno pagherà un prezzo sia restandone fuori, sia rimanendoci dentro, incastrato. Esattamente come a volte ci incastra la vita reale.
Non siamo pronti, e forse è meglio così: «Non abbiamo occhiali leggeri e comodi per stare immersi tutto il giorno. Non abbiamo ancora una velocità di connessione per vivere un’esperienza piena. E serve più potenza di calcolo quantistico nel Cloud» Gustavo Caetano, guru digitale brasiliano.
La domanda se siamo o meno pronti per il Metaverso come seconda vita (che non sia più soltanto un gioco) non è una questione tecnologica. Per quanto tutti siamo coinvolti come consumatori e tester di nuovi device, c’è da discutere quanto la nostra società possa vivere di relazioni non fisiche eppure reali.
Millenarismo e tecnologia
Immaginare come sarà la nostra vita fra 10 anni è interessante, ma come sappiamo per esperienza, ciò che accadrà veramente sarà una delusione rispetto alle aspettative più entusiastiche. E, per contro sarà un sollievo per chi oggi paventa apocalissi di alienazione cyborg.
Quando la scienza e la tecnologia contemporanea non danno risposte, per fortuna arrivano gli artisti. Che hanno visioni del futuro, come dimostrano Charlie Chaplin, Aldous Huxley, William Gibson, Chuck Palhaniuk e molti altri. E che, senza rendersene conto, diventano quei divulgatori formidabili che tutti cercano per capire l’impatto della tecnologia sull’umano.
Oggi il Metaverso nella sua probabile evoluzione è intelleggibile grazie a diversi episodi della serie distopica Black Mirror. Domanda per i guru che sanno già tutto: come spiegheresti il Metaverso a tua nonna? A tua zia? Ai tuoi parenti e amici che al massimo sanno mandare una mail? Eccoci di fronte a quella genialità britannica che se ne frega del politicamente scorretto, che guarda le cose con serissima leggerezza. E ci fa capire.
Metaverso genderless
Tra i vari episodi, quello più credibile è Striking Vipers, rappresentazione verosimile di un futuro nel quale il gioco non è più un gioco e diventa un’attività in grado di mettere seriamente in crisi un matrimonio. O, e qui c’è il genio, di farlo funzionare meglio.
Non spoileriamo per chi non lo avesse ancora visto nonostante sia uscito a giugno del 2019. Danny è un bravo family man, finché il vecchio amico Karl lo istiga a provare un nuovo videogame immersivo. Nella realtà virtuale del picchiatutto Striking Vipers, Danny sceglie di essere un combattente, Karl una combattente. Ciò che succede è prima inquietante, poi sconvolgente, poi si incastra perfettamente nel menage familiare senza intaccare la vera identità e il legame profondo dei protagonisti.
Tra reale e virtuale (photo courtesy Studentproblems.com)
Per quanto brillante non vogliamo paragonare lo sceneggiatore inglese Charlie Brooker ai grandi miti della letteratura o del movimento cyberpunk. Tuttavia a differenza di altre realtà virtuali da serie tv, questa ha oggettive probabilità di avvicinarsi al vero. Se abbiamo già i primi casi di denuncia per molestie sessuali nel Metaverso, questo significa che la Second Life avanzata verso la quale viaggiamo veloci non è più un gioco. Impatta sulla vita reale, crea emozioni reali, devia il percorso che nella first life avevamo previsto.
Dobbiamo averne paura o integrarlo nella nostra vita? Difficilmente impariamo dai nostri errori. Quanti si sono tolti da Facebook, dopo che: una grande percentuale vi ha trovato l’amore della sua vita, un’altra ha scoperto di avere figli, un’altra è stata scoperta nei propri segreti pagandone a volte un prezzo altissimo?
Il fatto che da primitivi diffusori di pollicioni alzati diventiamo avatar gaudenti o rabbiosi non cambierà granché. Saremo comunque in grado di gestire quello che Elena Croci chiama Iperidentità, adatta alla realtà aumentata che viviamo. Non tutti, però. Qualcuno pagherà un prezzo sia restandone fuori, sia rimanendoci dentro, incastrato. Esattamente come a volte ci incastra la vita reale.
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