Zaki, Goggia, Måneskin: il politicamente (s)corretto è vivo e lotta insieme a noi

18 Aprile 2022
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Nemmeno durante il Ponte di Pasqua, il primo da potersi definire tale dopo due anni di stop a causa dell’emergenza sanitaria, siamo riusciti a risparmiarci penose polemiche sui social. 

Tutto è iniziato in pieno sabato santo, quando Patrick Zaki si è espresso da autentico ultras del Bologna Calcio e ha sparato un tweet della serie #lajuverubba. Apriti cielo: juventini e non pronti a scannarsi in tempo reale augurando a Zaki l’ergastolo per non dir di peggio. Per provare a porre un argine a tutto ciò, Zaki ha nuovamente twittato, affermando di aver detto «qualcosa che credo sia molto normale tra i tifosi di calcio di tutto il mondo».

Uno dei principi base della fisica in fondo si applica anche ai social, in quella che possiamo definire modalità estensiva: ad ogni azione corrisponde una reazione eguale e contraria. Sempre contraria, molto spesso maggiore. Se si va sui social e si inizia a insultare come il più becero dei tifosi, non si possono certo ricevere repliche oxfordiane, sperando di venirne fuori trincerandosi dietro una dolorosissima situazione personale, che tutti quanti speriamo si risolva quanto prima con la sua libertà incondizionata.

I social sono peggio del far west, se si sfiora la fondina della pistola, per sbaglio o per scelta, non si può pretendere che si risponda all’insegna del #loveandpeace. Più facile che a un’arma caricata a salve si risponda a suon di cannoni, che non conterranno mai i fiori. 

 

 

I social sono peggio del far west. Basta saperlo

A Pasqua altro putiferio sui social, a causa di un’intervista rilasciata dalla sciatrice Sofia Goggia al Corriere della Sera, nella quale dichiarava i suoi dubbi in merito alla presenza di gay tra gli sciatori maschi, in quanto sarebbero troppo “effeminati” per affrontare la Streif, la pista austriaca di Kitzbühel, la più difficile e la più ardimentosa di tutto il circo bianco. Una battuta triviale che ci si poteva risparmiare ma che appunto andava rubricata come tale.

Più tecniche invece le sue considerazioni in merito ai transgender che pretendano di gareggiare nelle categorie femminili: «Un uomo che si trasforma in donna ha caratteristiche fisiche, anche a livello ormonale, che consentono di spingere di più. Non credo allora che sia giusto», ha dichiarato la Goggia. Difficile non essere d’accordo: almeno in questo caso tutti dovrebbero farsi sentire in ossequio ai principi di lealtà ed etica sportiva.

E invece no, in nome del politicamente corretto i soliti noti – gli influencer che si giocano a fare i giornalisti e viceversa – non hanno perso l’occasione per fare la morale con il ditino alzato. Per provare a chiudere la falla – quasi peggio di quella che ha affondato il Titanic – la Goggia ha poi ritenuto opportuno scusarsi su Twitter. Anche in questo caso peggio il rattoppo del buco? Brava in ogni caso a non smentire quanto affermato. 

 

 

Prendersela con Putin è chic e non impegna

Terzo e ultimo capitolo di questa trilogia, il concerto dei Måneskin al Coachella. Sempre e comunque perfetti i Måneskin in ogni loro step: da X-Factor all’Eurofestival passando attraverso Sanremo, il loro giocare sull’essere #genderfluid e tutto il resto. Il loro live al festival californiano non ha fatto eccezione, proponendo il loro nuovo singolo “Gasoline”, dedicato all’Ucraina e conclusosi con il grido «Free Ukraine, f*** Putin».

Mossa anche questa a uso e consumo dei social, difficile che il pubblico presente se ne sia accorto, soprattutto quello statunitense, che in gran parte conosce a malapena i confini del Nebraska. Siamo orgogliosi e felicissimi del successo mondiale dei Måneskin, come di ogni realtà italiana che spacchi oltreconfine. Sia chiaro e sia ribadito una volta di più. Adesso però ci aspettiamo da parte loro più musica e meno marketing. 

 

 

Il problema dei social è sempre lo stesso

Il problema dei social è sempre lo stesso: il politicamente corretto se ne è impadronito da tempo, con la conseguenza che molte interviste che vengono riprese da Facebook, Instagram e Twitter si rivelano semplici copia-e-incolla in fotocopia di quanto abili uffici stampa passano ai giornalisti.

Quando qualcuno riesce a fare una vera domanda e a ottenere una risposta sincera, ecco scatenarsi gli alfieri del pensiero unico, a loro volte pedine più o meno consapevoli di un gioco molto più grande di loro, pronti a cambiare opinione su tutto e su tutti appena faccia comodo. Come arginare la deriva? Stando alla larga dai social per quanto sia possibile e introdurre il pagamento per ogni post che si mette on line. Già immaginiamo le sommosse che ne deriverebbero: altro che le proteste per due gradi in meno di riscaldamento.  

Foto d'apertura: pagina Facebook di Sofia Goggia

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