Meta prediletta di svago da millennial e gen Z, i parchi divertimento sono tra i più penalizzati non solo dal covid ma anche dal green pass.
Si spera che le cose migliorino, e che si sia trattato di una défaillance momentanea, ma il timore è che le più fosche aspettative si siano trasformate in realtà. Perché l’allarme che arriva dai parchi divertimento è chiaro: il green pass è un disincentivo per la clientela. E i numeri parlano: nel primo fine settimana di entrata in vigore delle nuove procedure di accesso, i parchi hanno registrato una flessione del 50% negli ingressi rispetto al weekend precedente.
Millennial e gen Z pochi vaccini, niente green pass
Si sa, questi luoghi sono una delle mete preferite per una giornata all’insegna dello svago da parte di più giovani, millennial inclusi. E tra questa fascia della popolazione i vaccinati contro il covid sono ancora pochi. Non tanto per questioni ideologiche, ma perché le dosi di siero a disposizione ancora scarseggiano. Di qui l’impossibilità a ottenere il green pass.
L’allarme dell’Associazione Parchi Permanenti
Il problema è più ampio di quel che si pensi. Perché in ballo c’è il futuro di migliaia e migliaia di lavoratori in tutta Italia. I gestori dei parchi non chiedono un “liberi tutti”, e non sono contrari in senso lato al green pass, ma chiedono chiarezza e la possibilità di continuare a lavorare. O, in alternativa, adeguati ristori per la categoria.
Giuseppe Ira, presidente dell’Associazione Parchi Permanenti Italiani e di Leolandia (BG) dichiara: «Non siamo pregiudizialmente contrari al green pass, personalmente punto a rendere Leolandia “covid-free” in autunno. I tempi però non sono ancora maturi: non ci sono abbastanza vaccinati tra i giovani e, soprattutto, sufficienti dosi di vaccino per rispondere alla domanda».
La richiesta al Governo
Ira prosegue: «Chiediamo al Governo, che ha voluto a tutti i costi inseguire il modello francese, di farlo fino in fondo: in Francia l’età minima per presentare il green pass è stata alzata a 18 anni e, soprattutto, in autunno sono già previsti ristori pari all’80% delle perdite subite per le aziende più danneggiate dal provvedimento. Qui in Italia, invece, l’unica certezza sono le perdite: molti parchi sono sull’orlo del fallimento nella pressoché totale indifferenza delle istituzioni. Se il trend sarà confermato, le imprese saranno costrette a sospendere la stagione, licenziando migliaia di lavoratori».
Una situazione paradossale
Ma c’è di più. In Italia i parchi divertimento, pur rappresentando un’importante fetta dei flussi turistici, sono di competenza del ministero della Cultura. Il che complica le cose. perché ogni decisione che viene presa per salvaguardare gli altri comparti turistici non è estesa al settore.
I numeri del turismo generato dai parchi
Eppure fino al 2019 i parchi permanenti italiani, circa 230 tra tematici, faunistici, avventura e acquatici, generavano 1,1 milioni di pernottamenti ed erano visitati ogni anno da 20 milioni di italiani e 1,5 milioni di stranieri.
Sempre nel 2019 il comparto ha generato un giro d’affari di 450 milioni di euro riferiti alla sola biglietteria, cifra che sale a 1 miliardo con l’indotto interno, come la ristorazione e il merchandising, e a 2 miliardi considerando l’indotto esterno, relativo ad esempio a centri commerciali, hotel e altri servizi in prossimità dei parchi.
A livello di occupazione, il settore prima della pandemia impiegava 25.000 persone tra fissi e stagionali, 60.000 con l’indotto. Poi è arrivato il covid e i parchi hanno subito perdite pari al 75% del fatturato. Oggi, a un anno e mezzo dall’inizio della pandemia, il futuro sembra essere ancora molto nebuloso. E l’unico barlume di speranza è rappresentato dai ristori.
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