Da Australia day a Invasion day: il patriottismo australiano messo in dubbio da millennial e Gen Z
Basta bandiere niente gadget made in China e ibridazione con la causa palestinese. Il 26 gennaio e l’imbarazzo dei politici aussie
Da Linkiesta.it. Sono passati trentasei anni da quando i Midnight Oil cantavano «How can we dance when our earth is turning, how do we sleep while our beds are burning», hit anni Ottanta dedicata alle popolazioni aborigene usurpate della loro terra. Il 26 gennaio si celebra l’Australia day, commemorazione dello sbarco a Sidney Cove dei coloni inglesi caratterizzato da violenze e uccisioni. Tanto che le popolazioni native lo hanno ribattezzato Invasion day. La giornata è infatti sempre stata divisiva, ma quest’anno lo è di più. Le posizioni sono sempre più polarizzate. Da una parte la forte spinta all’ibridazione dell’evento, tra le cause globali e locali, dai palestinesi agli indigeni della Papua Occidentale annessa all’Indonesia e un sostegno mediatico intriso di politicamente corretto; dall’altra la difesa disperata e inefficace di un giorno di festa nazionale e patriottica che coincide sempre di più con la memoria degli infiniti lutti inflitti agli aborigeni.
Di fatto quest’anno sembra vincere l’imbarazzo proprio nelle file progressiste, schiacciate tra la richiesta di un riconoscimento costituzionale degli indigeni, che però è stato sonoramente respinto dalla recente consultazione popolare, e i tradizionali barbecue a tema, con agnello allo spiedo e Union Jack che sventolano nei cortili. Riti che nel tempo sono diventati un business per una gadgettistica che va dalle infradito giganti ai festoni e ai fuochi pirotecnici.