Forse tra 40 anni, in una serata più ventosa del solito, vi stringerete attorno a un vecchio bidone di latta in fiamme, riparati negli anfratti della vecchia metropoli in rovina, e rifletterete sui lontani politici Millennials. Infilzerete due lucertole negli spiedini e le farete girare sulla fiamma, mentre i più giovani della tribù vi verranno attorno in attesa del prelibato pasto. Sarà a quel punto che ripenserete a come tutto è iniziato, a come tutto è finito. Erano gli ultimi mesi del 2017, e Di Maio aveva appena accettato un confronto pubblico con la Boschi…
La questione su cui duellavano i due campioni dei politici Millennials riguardava i fallimenti, i salvataggi e più in generale le sfighe delle banche italiane. Le banche erano posti dove si poteva ottenere denaro, in cambio dell’impegno a restituire una cifra maggiore di denaro. Il fatto che spesso, per raggiungere tale cifra, fosse necessario recarsi in un’altra banca e chiedere ulteriore denaro, creava un costante accumulo del debito che nel giro di pochi decenni aveva messo il mondo in ginocchio. È più o meno per questo che oggi mangiamo lucertole attorno al fuoco.
Tuttavia questa dinamica non sembrava essere molto chiara alle classi dirigenti dell’allora mondo civilizzato, che erano anche alle prese con un’importante ricambio generazionale. Il popolo pretendeva facce nuove, frasi nuove, slogan nuovi, aveva bisogno di ricominciare a sognare come quando la nazione era giovane ed entusiasta, in epoche dimenticate. Per essere vicini al popolo bisognava rottamare, bloggare e sfanculare.
E nessuno sa da dove arrivarono davvero, questi nuovi politici Millennials. Ce li ritrovammo paracadutati lí, di punto in bianco, forse da una cicogna. Ci siamo girati un attimo a salutare Silvio – che non si era capito se dovesse andare all’ospizio o ai domiciliari – e quando abbiamo guardato di nuovo il parlamento neanche lo riconoscevamo più. C’erano tutti questi ragazzi, giovani e frenetici, informali, sorridenti. Bella zio! Batti cinque! C’erano quelli che arrivavano a Montecitorio in scooter, con l’aria di chi ti può dare anche qualche dritta sulle marmitte rovesciate, e quelli che arrivavano col caschetto ben allacciato pedalando in bicicletta, magari di quelle in una qualche lega superleggera, pieghevoli, più ecologiche di questi spiedini. Stili e approcci diversi per essere giovani, belli, utili per il paese e la collettività.
C’era peró un piccolo problema, che finì per complicare un tantinello le cose. I nostri giovani, positivi e sorridenti politici Millennials sentivano l’odore del sangue del nemico a chilometri di distanza. E ne andavano ghiotti. Ne pregustavano il sapore esattamente come pregustavano il numero di like e condivisioni a un post, quando sapevano di avere in canna una battuta formidabile. Scavavano nel passato del loro avversario politico e della cicogna che lo aveva paracadutato, ne svisceravano ogni singolo dettaglio, merito, colpa e inclinazione per poter rivelare al mondo la scomoda verità: lui, o lei, non é davvero dei nostri. Non é una persona libera, non fa parte del nuovo corso. Perché é ancora legata ai vecchi politici. Ai vecchi poteri.
Dovete sapere che, ad un certo punto della nostra storia, non solo i politici Millennials ma tutti noi ci eravamo convinti che per poter ripartire avremmo dovuto distruggere tutto quello che era venuto prima. Non solo distruggerlo: condannarlo, svergognarlo, vergognarcene e dimenticarlo. Tabula rasa totale: passiamo al digitale, al pensiero liquido, creiamo la trasparenza negli atti pubblici, filmiamoci anche mentre dormiamo, in streaming, perché no? Cosa resta da provare, quando non hai più nulla da nascondere? Per quale motivo non ci si dovrebbe fidare di te? Funzionava più o meno così.
Tanto bravi erano a trovare le lacune altrui quanto incapaci a colmare le proprie, questi fuori corso travestiti da statisti precoci. E nel profondo lo sapevamo anche noi, che pure ogni tanto, svogliatamente, concedevamo un applauso o un voto a chi ci sembrava appena un attimino meno rincoglionito degli altri. Forse fu proprio quello il nostro sbaglio: convincerci che da quelle dispute dovesse sempre uscire un vincitore, che sarebbe stato meglio o meno peggio per noi e per gli altri. Non avremmo mai dovuto accontentarci di bugie meno rischiose, meno ipocrite o meno dannose di altre. Giorno dopo giorno, abbiamo legittimato ciò che sapevamo essere falso.
È per questo che mi ritrovo spesso a pensare a quel vecchio dibattito di fine 2017 tra i due campioni dei politici Millennials: Boschi e Di Maio. Quando fu chiaro più o meno a tutti in che casino ci eravamo andati a cacciare con tutta questa storia del rinnovamento e della freschezza.
Lei era bella, bellissima, preparata. Si trovava in uno studio televisivo, spalleggiata da gigabyte di infografiche incorniciate di verde e azzurro che scorrevano alle sue spalle. Parlava con voce ferma dei sacrifici necessari per risollevare il sistema bancario, negava ogni conflitto di interessi con l’istituto di cui il padre era stato vicepresidente, salvato dal tracollo finanziario. Disse che erano in gioco i soldi di migliaia di risparmiatori, non la posizione o la fedina penale del genitore. Abbiamo fatto quello che era necessario, ora toccherà alla magistratura stabilire le responsabilità civili & penali. Chi é stato truffato avrà giustizia, ma si tratta di questioni distinte. I tempi della giustizia sono diversi, più lunghi.
Lui era bruttino, bassettino, non troppo brillante, ma la sua assenza di carisma si era paradossalmente trasformata in uno strumento di leadership. Respingeva formalità e tecnicismi cercando di arrivare alla sostanza, spalleggiato da una sostanziosa folla di gente imbufalita nella piazza da cui era collegato in streaming. La sostanza era che la gente aveva meno soldi di prima e che i politici, formalmente o informalmente, erano comunque legati alle banche. I crac avrebbero potuto essere evitati, se per decenni la politica non avesse fatto finta di non vedere quello che era sotto gli occhi di tutti. Quindi ogni risparmiatore meritava il risarcimento completo di tutto, qui e ora, senza tante ciance.
Mentre si dividevano gli applausi della piazza e dello studio tv, pensai che entrambi stavano palesemente mentendo. La verità era diversa, più articolata e complessa. Eppure anche io sentivo in qualche modo il bisogno di prendere una posizione. Di spalleggiare l’una piuttosto che l’altro, o viceversa. Mi dicevo che se il popolo non poteva e non potrà mai realmente capire, allora tanto vale che creda alla bugia minore, meno rischiosa. Alla bugia più onesta. Ma era una brutta e ipocrita sensazione.
In quei giorni passavo spesso davanti alle ex filiali della banca della mia città, la Cassa di Risparmio di Ferrara, uno dei quattro istituti salvati dal crac due anni prima, anche attraverso l’azzeramento di azioni e obbligazioni. Sapevo benissimo quanto fosse inutile chiedere la testa di politici sbarcati da pochi anni in Parlamento o al governo: per mezzo secolo la nostra banca aveva regalato soldi a imprese e cooperative edilizie o a imprenditori in odor di criminalità, mettendo da parte ogni rigore nei controlli, nella gestione e nella solvibilità del contraente. I colpevoli non erano a Roma.
Non era un mistero per nessuno.
Quando andavi al bar tutti, o quasi, lo sapevano, anche le persone pronte a versare i risparmi di una vita in obbligazioni bancarie. Le stesse persone che nel 2017 si dichiararono raggirate e truffate, chiedendo tutto indietro con gli interessi, pochi anni prima spendevano più tempo e impegno nella scelta dell’operatore telefonico che in quella di investimenti a tasso variabile coi capitali della famiglia. Risarcimenti totali, e con che soldi? Con quelli della collettività, visto che non ce n’erano altri, ma nessuno lo diceva. Eravamo tutti ipocriti in quella partita, vittimisti e carnefici, tranne forse qualche vecchietta la cui voce si sarebbe persa in mezzo al mare di strunzate sparate dagli altri. È solo per loro che mi dispiaceva.
Non fu poi così importante il dibattito Boschi – Di Maio, volevo solo creare un po’ di suspense. Fu semplicemente un passaggio simbolico, l’ennesima dimostrazione che l’Occidente aveva perso il gusto per la verità e che i politici Millennials non erano migliori degli altri, solo più furbi e abili nel capire da che parte tirava il vento. D’altra parte era gente cresciuta sui social network, che erano la fabbrica di consenso per eccellenza. Vi direi di starci attenti ma hey, ormai é tardi, posso offrirvi al massimo una lucertola.
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