Mi trovo in un piccolo alimentari di un paesino della provincia toscana tra Lucca e Pistoia. Non conosco il nome. Qui l’unica certezza è che la sciatteria è un atto politico, una protesta contro il mondo luccicante e vincente delle grandi città.
Siamo prima della montagna. Qui i paesini sono entità territoriali tutte attaccate, li divide solo un cartello che ti avverte che sei nel paese successivo. Nella realtà non riesci a distinguerli uno dall’altro.
Insomma, sono in questo alimentari che mi faccio tagliare mezza zucca. Intera per me è troppa e qui è normale chiedergli di tagliartela. Se potessero ti venderebbero le sigarette sfuse. Mentre mi gingillo, il mio sguardo cade su una mensola putrefatta, poi su un televisore col tubo catodico e su un poster dell’Italia che ha vinto i mondiali (dell’82) ed ecco…un’epifania della mia infanzia. Lo sguardo vaga. Con stupore noto che accanto ai pelati, al tonno in scatola e alla carbonella ci sono delle mutande da uomo (credo) bianche. Così. Sfuse. Appoggiate l’una sull’altra, impilate.
Il popolo dei mutandari
Sul momento rimango perplesso, ma in fin dei conti non è la prima volta che mi capita di imbattermi in certi fenomeni. Mi chiedo: chi mai potrebbe comprare le mutande qui? Non tardo a darmi risposta osservando un signore completamente vestito di pile, con addirittura dei pantaloni di pile, davanti a me in fila.
Come si può concepire di comprare le mutande, sfuse (ma forse era solo una tecnica per esporle meglio), nello stesso posto dove compri il pane? Nemmeno in una società post bellica dove i rifornimenti sono interrotti e ci pensano gli elicotteri a catapultare il cibo gettando delle casse di legno coi paracaduti, ci sono questi “spacci”.
Ma in luoghi come questo è normale.
La provincia e lo sciatti chic
Esco dall’emporio e vago per il paesino. Ci sono le poste, le solite macchine parcheggiate davanti alla chiesa e il bar. Ecco che succede di nuovo. Noto questo stridio… il bar è tutto nuovo, arredato con quel maledetto mobilio shabby chic che impera senza senso nei luoghi più improbabili perché il titolare cerca di darsi un tono. Sembra voglia porsi come un posto moderno, di un certo livello, ma i frequentatori di quel bar sono: cacciatori, gente in ciabatte, uno che sembra abbia una tuta da sci addosso. Non capisco cosa c’è che non torna poi a un tratto realizzo: sono tutti vestiti di merda. Tutti. Non se ne salva uno.
E non lo dico da fighetto milanese, da modaiolo, ma da osservatore.
Non credo che qui la gente si vesta male solo per una questione di gusti, credo sia più l’effetto di una una rivolta silenziosa. Il motivo è che vivere in provincia vuol dire in qualche modo essere nascosti dall’occhio dei grandi eventi delle città e dà alle persone quella strana euforia di sentirsi esenti da ogni confronto. Non c’è lo stress di dover essere fighi, piacevoli e neppure il confronto con i modelli e le modelle che camminano in centro a Firenze.
E quindi ecco che la gente dsvacca… Più piccolo è il paesino e più è facile trovare uomini in ciabatte al bar. Tanto è il bar sotto casa, si conoscono tutti, non c’è da vergognarsi. Che male c’è? C’è che è orrendo! Fino a qualche tempo fa eravamo il paese dello Stile, adesso sembra che la gente si vesta solo per coprire la nudità, senza esprimere nessun tipo di preferenza tra un capo e un altro, considerandolo anzi un vezzo per cui non hanno tempo, come se li rendesse inutilmente frivoli o boriosi. L’effetto è una mandria di persone con abiti horror.
Silenziosamente, nel giro di pochi anni, hanno preso campo delle mode aberranti. Qui da me gli uomini hanno tutti il borsello. Tutti, anche i trentenni. E più ce l’hanno più pare si siano ingegnati a sceglierlo orrendo. Dentro ci tengono il cellulare e le chiavi della macchina (che è sempre bella pulita e lavata) e poi se lo piazzano a tracolla e ci vanno in giro tutti contenti facendolo sbattere sulla panza.
Altri esempi? Gli zoccoli Crocs. Quei robi orrendi di gomma che rendono i piedi simili a pezzi di formaggio… prima imperavano giusto nell’ambiente ospedaliero adesso sono rintracciabili perfino sul luogo di lavoro, spacciati come casual. Altro must dell’abbigliamento di provincia: la t-shirt bianca con il logo della macelleria o il cappellino della ditta di vernici locale. Gadget ricevuti in omaggio per amicizie che diventano la divisa d’ordinanza dell’uomo rude, avvezzo al lavoro manuale, che conosce a memoria gli scaffali dell’OBI e magari ha il trattore, con cui si sposta sulla statale intasando il traffico.
L’omo è omo e ha da pescà…
L’uomo di provincia deve stare comodo per guidare l’Ape 50 o la Nuova Panda così indossa dei bei gilet da pescatore/fotografo pieni di utili tasche vuote e agghinda il bastone con un bel rosario in plastica sul manico. Dai benzinai verso Capannori si può comprare anche l’ormai comunissimo gilet catarifrangente da applicare agli scooter elettrici per anziani, mezzi originariamente pensati per le persone con handicap motori ma ormai sdoganati come ibrido tra la bicicletta e la micro auto, con cui si viaggia sulle statali, ignari di rischiare la vita.
…e la donna da pizzà
Ogni tanto passo davanti a un negozietto a Lammari che ha esposto fuori un manichino sbiadito dal sole, di una donna con una parrucca spelacchiata e dei vestitini improbabili finto sexy. Quel manichino in mezzo al nulla… con lo sguardo vuoto, riempito di smog e consumato dal tempo, sembra una sorta di strumento vudù stuprato dai fantasmi, un anatema per allontanare le persone. Ecco il genere di luoghi in cui si agghindano le signore del posto. Da contraltare ci sono dei negozietti come “Biri-kina” sempre in zona Lucca, che adoro per il nome. Una vetrinetta che espone completini di pizzo accanto a una macelleria e a un commercialista. Biri-kina… geniale. Mi immagino il proprietario che va a registrare il nome in camera di commercio tutto esaltato per la trovata di marketing…
Non lo dico a caso, deve essere un fenomeno ormai noto anche al mercato. Prendi i negozi delle grandi catene come Zara, Benetton o H&M, li abbiamo anche qui da noi ormai. Beh ,nello stesso giorno, nella stessa catena, entrate in un negozio in zona Duomo a Milano e troverete roba strafiga, colorata, oltraggiosa. Varcate la soglia della stessa catena ma all’Ipercoop di Montecatini Terme e troverete come colore imperante il grigio topo, o il marrone tronco di albero abbinato al maglione verde. Così sembrerete dei cazzo di alberi anche voi e potrete mimetizzarvi con la natura. Poi nero e varie tonalità di anonimi scuri per giacche e maglioni. Non ci sta che sia un caso. Vuol dire che sanno cosa tira dalle nostre parti e ci mandano solo i campionari modello Balcani orientali.
La scissione dell’orrido
Non è questione di essere nostalgici, ma prendi le foto di famiglia con i nonni e li trovi tutti con dei bei completi e il cappello, la cravatta. Erano poveri in canna ma ci tenevano ad avere almeno il vestito della domenica, quello buono per andare in piazza o in Chiesa. Il decoro era una cosa importante. Oggi il gusto dell’orrido è tollerato, quasi giustificato. Ripeto: non può essere un caso, lo vedo come un atto politico, una sorta di scissionismo silenzioso. La gente da queste parti si sente dimenticata e vuole prendere le distanze da un paese di cui legge solo sui quotidiani o ne sente parlare al telegiornale. Meglio vivere in ciabatte, uscire di casa così come ci viene, far spaventare in un certo senso i forestieri per ricordare loro che qui è il nostro territorio e facciamo come ci pare. Il risultato è che lo Stile italiano ormai è morto. Amen.
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