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È morto Raffaele Cutolo, il Don Raffaè di De André. È stato il nostro Escobar?

17 Febbraio 2021
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A 79 anni è morto Raffaele Cutolo, boss della Nuova Camorra Organizzata. Le somiglianze con el padròn di Medellin.

Quando nel 1990 uscì Don Raffaè di Fabrizio De André, per Raffaele Cutolo dev’essere stato un momento di gloria. Essere cantato dal cantautore genovese infatti probabilmente nella sua testa di capo della Camorra rinforzava il delirio del suo ego criminale che giustificava gli ammazzamenti con rivendicazioni sociali e popolari.

Oggi che, all’età di 79 anni, Raffaele Cutolo è morto, i media sono tutti impegnati a mitizzare mario Draghi e la gloria mundi di Don Raffaè si è sciolta in nulla. Il boss della camorra se n’è andato nel reparto sanitario del carcere di Parma.

La Nuova Camorra Organizzata

Raffaele Cutolo fu tra i fondatori della Nuova camorra organizzata, ma la sua falsa patina di simbolo, di Robin Hood partenopeo era ed è ancora viva nell’immaginario di molti. Tanto che gli è sempre stata rifiutata dai giudici qualsiasi forma di detenzione più leggera, per timore anche solo di qualche celebrazione.

Anche la canzone di Fabrizio De Andrè parte dal carcere di Napoli luogo nel quale il capo mafioso ha passato la maggior parte del tempo della sua vita. E dove riuscì a creare un potere dai contorni quasi esoterici. Con una furbissima strategia mascherata da dissidenza e ribellione pauperistica.

Pasquale, metonimia della connivenza

Ed ecco come secondo De André lo hanno visto per anni i suoi carcerieri, rappresentati dall’ipotetica guardia penitenziaria Pasquale Cafiero.

«Io mi chiamo Pasquale Cafiero
E son brigadiero del carcere, oiné
Io mi chiamo Cafiero Pasquale
E sto a Poggio Reale dal ’53
E al centesimo catenaccio
Alla sera mi sento uno straccio
Per fortuna che al braccio speciale
C’è un uomo geniale che parla co’ me»

Raffaele Cutolo, il carcere, lo sbandierato impegno per i poveri della zona, la gestione della malavita dalla cella. Un tratto che lo accomuna a Pablo Escobar.

«Tutto il giorno con quattro infamoni
Briganti, papponi, cornuti e lacchè
Tutte l’ore co’ ‘sta fetenzia
Che sputa minaccia e s’a piglia co’ me
Ma alla fine m’assetto papale
Mi sbottono e mi leggo ‘o giornale
Mi consiglio con don Raffae’
Mi spiega che penso e bevimm’ ‘o café
Ah, che bell’ ‘o cafè
Pure in carcere ‘o sanno fa
Co’ a ricetta ch’a Ciccirinella
Compagno di cella, c’ha dato mammà»

La fetenzia dei carcerati, per aumentare il senso di ingiustizia verso il “benefattore” Don Raffaè. Il caffé, rituale speciale per un detenuto speciale. L’indignazione per briganti papponi, cornuti e lacché. Il sentirsi dalla parte giusta nonostante la spietatezza del carcerato.

Maxiprocesso

Nel 1993 la Commissione Parlamentare Antimafia definì così la carriera di Raffaele Cutolo:

«A un ceto delinquenziale sbandato e fatto spesso di giovani disperati, Cutolo offre rituali di adesione, carriere criminali, salario, protezione in carcere e fuori. Si ispira ai rituali della camorra ottocentesca, rivendicando una continuità ed una legittimità che altri non hanno. Istituisce un tribunale interno, invia vaglia di sostentamento ai detenuti più poveri e mantiene le loro famiglie»

«Prima pagina, venti notizie
Ventuno ingiustizie e lo Stato che fa
Si costerna, s’indigna, s’impegna
Poi getta la spugna con gran dignità
Mi scervello e m’asciugo la fronte
Per fortuna c’è chi mi risponde
A quell’uomo sceltissimo immenso
Io chiedo consenso a don Raffae’
Un galantuomo che tiene sei figli
Ha chiesto una casa e ci danno consigli
Mentre ‘o assessore, che Dio lo perdoni
‘Ndrento a ‘e roulotte ci alleva i visoni
Voi vi basta una mossa, una voce
C’ha ‘sto Cristo ci levano ‘a croce
Con rispetto, s’è fatto le tre
Volite ‘a spremuta o volite ‘o cafè?»

Conversation is king

Scrive ancora la Commissione: «La corrispondenza in carcere tra i suoi accoliti è fittissima e densa di espressioni di gratitudine per il capo, che si presenta alcune volte come santone e altre come moderno boss criminale. Vive di estorsioni, realizzate anche attraverso la tecnica del porta a porta. Impone una tassa su ogni cassa di sigarette che sbarca. Vuole imporsi ai siciliani, che non si sottomettono. Impera con la violenza più spietata».

Mai fuori

L’unica concessione fatta dalla Giustizia a Don Raffaele Cutolo, l’estate scorsa, fu disporre il trasferimento nel settore sanitario del carcere.

In primavera il tribunale di sorveglianza di Bologna gli aveva negato il beneficio dei domiciliari. Pur essendo il detenuto al 41bis più anziano.

«Ah, che bell’ ‘o café
Pure in carcere ‘o sanno fa
Co’ a ricetta di Ciccirinella
Compagno di cella, preciso a mammà»

Il caffè nella canzone ricorre non solo perché fa rima con Don Raffaè. Ma anche perché il boss originario di Ottaviano, nell’area vesuviana, era avvezzo ai riti, ai cerimoniali, piccoli, grandi, inquietanti, sacrificali.

Da quando Raffaele Cutolo iniziò il suo percorso con l’omicidio di Mario Viscito nel 1963 i riferimenti simil settari o pseudo-massonici legati alle organizzazioni malavitose dell’800 furono una costante.

E fu anche grazie a questi riti che il boss conquistò quel carisma e quella fiducia che gli permisero di creare la Nuova camorra organizzata durante la sua detenzione nel carcere di Poggioreale, all’inizio degli anni Settanta.

Il famoso cappotto cammello

«Voi tenete un cappotto cammello
Che al maxi-processo eravate ‘o cchiù bello
Un vestito gessato marrone
Così ci è sembrato alla televisione
Pe’ ‘ste nozze vi prego, Eccellenza
Mi prestasse pe’ fare presenza
Io già tengo le scarpe e ‘o gillè
Gradite ‘o Campari o volite o cafè?»

La vita scorreva dietro le sbarre, ma la complicità di una certa cultura connivente trasformava tutto in normalità. A Don Raffaè si chiedevano favori, prestiti, perfino consigli di stile in vista di un matrimonio.

Raffaele Cutolo creò una società parallela in galera. Un sistema comandato da un feudatario che incitava alla ribellione verso il sistema. Diceva: «Meglio un pezzo di pane da uomo libero che la bistecca dello schiavo». Intanto però là fuori i suoi manovali uccidevano e obbedivano al boss nella gestione del traffico di droga. E forse sì, è stato il nostro Pablo Escobar

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