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Totò Schillaci: addio alle notti magiche

18 Settembre 2024
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Addio al giocatore simbolo dei Mondiali di Italia ’90, addio al simbolo di un calcio che non esiste più

Estate 1990: Silvio Berlusconi era ancora soltanto un imprenditore e con il suo Milan aveva appena vinto la sua seconda Coppa dei Campioni consecutiva. Quell’anno i mondiali di calcio si giocavano in Italia, la cui serie A era all’epoca  il campionato più bello del mondo e dove il centravanti siciliano Salvatore Schillaci detto Totò – alla sua prima stagione nella massima divisione – aveva segnato 15 gol e vinto con la Juventus Coppa Italia e Coppa Uefa, quest’ultima l’attuale Conference League. Fu convocato ai Mondiali, che l’Italia giocava e in casa da grande favorita. Non si può che partire da qua per ricordare Totò Schillaci, morto mercoledì 18 settembre 2024 a 59 anni stroncato da un tumore.

Italia 90

I Mondiali di Italia ’90 furono i Mondiali delle Notti Magiche, come tutti ancora chiamano la canzone “Un’Estate Italiana”, inno ufficiale della manifestazione composto da Giorgio Moroder e cantato da Gianna Nannini ed Edoardo Bennato. Quel Mondiale fu vinto dalla Germania, che battè in finale l’Argentina di Maradona che aveva a sua volta eliminato l’Italia in semifinale. Prima della finalissima, l’inno argentino fu sonoramente fischiato e Maradona reagì scandendo il labiale “Hijo de puta” visto e sentito in Mondovisione. Un Mondiale che si giocò in stadi nuovi o ristrutturati e che già sembrarono antiquati allora, figuriamoci adesso, quando in gran parte sono ancora gli stessi.

 

 

La favola di Totò

Italia ’90 fu un Mondiale nato male e proseguito peggio, ma lo si ricorda con nostalgia per le notti magiche di Baggio e Schillaci, entrambi all’inizio della competizione riserve e poi promossi a titolari. Baggio sarebbe poi diventato il giocatore italiano più forte di sempre – si apra il dibattito, millennial e non – Schillaci ballò soltanto quell’estate, ma come e quanto ballò. Fu capocannoniere dei Mondiali con 6 gol, a fine anno fu secondo nel Pallone d’Oro e in quel mese dei Mondiali visse in totale trance agonistica, in una sorta di tempesta perfetta: ogni volta che arrivava sul pallone lo sbatteva in porta. Puro istinto più che tecnica, quell’istinto del gol che ha consegnato alla storia Paolo Rossi e alla cronaca Pippo Inzaghi, quella capacità innata di sapere prima di tutti dove finirà il pallone, con la consapevolezza che una volta calciato non potrà che finire in porta. Schillaci aggiunse a tutto ciò uno sguardo luciferino, spiritato, quasi belluino al quale ci saremmo tutti affezionati e non avremmo mai più scordato.

 

 

Un eroe non per caso

Schillaci apparteneva a quella stirpe di calciatori che ormai non esistono più, che imparavano a calciare e a stoppare un pallone in mezzo ad una strada piena di buche, un pallone nella migliore delle ipotesi mezzo sgonfio o duro come il marmo e usando scarpe a volte tenute insieme non si sa come; se si imparava a dominare un sfera del genere – ammesso ne avesse ancora le forme – giocare su un campo in erba diventava un gioco da ragazzi. Per questo Schillaci seppe farsi strada dai campi polverosi di Palermo per arrivare a giocare negli stadi più importanti del mondo, decidendo di chiudere la carriera in Giappone per poi dedicarsi tra le tante altre cose alle scuole calcio, perché chi viene dalla strada o meglio da campetti sa che deve restituire qualcosa a quella strada e a quei campetti.

Con Italia ’90 Schillaci ha saputo unire tutta la nazione come pochi altri calciatori sono stati capaci. Schillaci a suo modo è stato un eroe e non è stato un eroe per caso.