“A Silvia” – Lettera di una donna-oggetto-sessuale alla cooperante milanese.
La dignità di qualcuno non si misura dall’abbigliamento, sembra assurdo ribadirlo nel 2020, ma a quanto pare è ancora necessario.
Cara Silvia, siamo felici che tu sia tornata a casa, davvero. Siamo anche felici che tu abbia incontrato la spiritualità in un momento così difficile come solo un rapimento può essere e sul quale, nessun lettore sano di mente oserebbe metter bocca. Hai scelto coprirti il viso e il corpo sotto diversi strati per cammuffare le tue forme e anche su questo, nessuno dovrebbe provare dolore o sgomento perché riguarda una scelta estetica ma anche personale e simbolica.
Rientra nelle piene facoltà dell’individuo, nonchè nella nostra Costituzione.
Intervistata dal quotidiano La Luce , testata online filoislamica hai asserito che “c’è qualcosa di profondamente sbagliato se l’unico ambito di libertà di una donna è scoprirsi”. Specificando che la società occidentale impone alle donne come vestirci e rendendole un “oggetto sessuale”.
Eppure noi nasciamo nudi e la società ci ha imposta di vestirci, mentre l’istinto ci suggeriva semplicemente di coprirci quel tanto da non morire di freddo.
Il pudore è un concetto che è arrivato dopo con le dottrine filosofiche o religiose di vario genere. Ce lo siamo inventato noi, il pudore.
Ora, tornando alla tua visione di dignità, noi donne occidentali ne abbiamo fin sopra ai capelli di questa retorica insopportabile che ci vede eternamente subordinate anche quando vogliamo semplicemente esprimerci. Già dobbiamo destreggiarci tutti i giorni con un post-femminismo nostrano che ci vede incapaci di intendere e di volere al 90% dei casi, poi mettici la mascolinità tossica e tutto ciò che ne deriva. Da ovunque venga la critica, va sempre a finire che le nostre curve e la nostra femminilità sono “carne da macello” sapientemente, furbescamente o indebitamente mercificata da noi, povere incapaci di badare a se stesse e alla propria immagine, perché costantemente annebbiate dalla televisione, i social e un generale e incomprensibile desiderio di autoaffermazione.
Tu che hai compiuto una scelta così radicale e così colma di filosofia, amore e spiritualità, davvero non aggiungeresti altro?
Hai detto che il tuo velo eleva la tua dignità, presupponendo quindi, a rigor di logica, che chi non lo indossa non ne goda.
Ti do una notizia , amica Aisha.
Noi donne siamo stanche di farci dire dagli altri come vestirci per essere adeguate.
Non siamo tutte uguali, come tu ci insegni.
Ognuna di noi ha la sua personalità, i suoi punti forza e le sue debolezze e leggere che il corpo è un oggetto sessuale è profondamente offensivo.
Perché se qualcuno vede un altro essere umano come tale (donna o uomo che sia), il problema risiede il lui, non in chi cammina a testa alta con un paio di stivali nuovi o una camicia scollata.
Chi sfodera parole impure su di me perché i miei polpacci sono troppo imponenti per i suoi minuscoli occhi o i suoi miseri pensieri, ha un problema.
Non il mio abbigliamento, lui.
Lui ha una devianza, il mio corpo è naturale.
E no, cara Aisha, io non mi copro perché una parte degli uomini ha ancora i piedi prensili. Tu sei liberissima di farlo, ma non osare parlare di tutte le donne come oggetti sessuali perchè nessun corpo è impuro.
Il corpo è prima espressione di sé e va celebrato e rispettato in quanto tale, non reso torbido da precetti religiosi o morali che non hanno nulla di logico ma si affidano all’una o all’altra filosofia.
Io non ho nulla da nascondere e mi vesto come più mi aggrada a seconda del mio gusto, del mio umore e dei contesti che frequento. Io manifesto il mio essere attraverso il mio corpo.
E sì, sono contenta che qualcuno prima di me abbia lottato perché questo fosse possibile.
E no, non c’è nulla di profondamente sbagliato.
Si chiama libertà individuale.
Lilia