Siniša Mihajlović: nascere, vivere e morire da vero combattente

16 Dicembre 2022
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“Uomo unico, professionista straordinario, disponibile e buono con tutti. Coraggiosamente ha lottato contro una orribile malattia” così la sua famiglia ha salutato per sempre Siniša Mihajlović.

Mihajlović è morto venerdì 16 dicembre 2022 a Roma all’età di 53 anni, stroncato da quella leucemia che lo aveva colpito a tradimento nel 2019 e contro la quale ha lottato sino all’ultimo momento, affrontandola sempre a viso aperto e a testa alta, come tutte le battaglie che il serbo sempre ha combattutto, battaglie molto più importanti di quelle vissute sui campi di calcio, prima da calciatore e poi da allenatore.

 

La Coppa dei Campioni con la Stella Rossa

Figlio di madre croata e padre serbo, cresciuto nelle giovanili del Borovo, Mihajlović ha militato nel Vojvodina  e soprattutto nella Stella Rossa di Belgrado (dal 1990 al 1992), squadra che nel 1991 vinse la Coppa dei Campioni e la Coppa Intercontinentale. Non era tra i convocati della nazionale jugoslava che partecipò ai Mondiali di Italia 90 e che fu eliminata ai rigori dall’Argentina, disgregandosi come poi si sarebbe disgregata l’intera Repubblica Socialista Federale di Jugoslavia: l’eccellente libro “L’ultimo rigore di Faruk” di Gigi Riva racconta benissimo questo tragico rapporto di causa ed effetto. Poi Mihajlović arrivò in Italia, dove ha vissuto una lunga carriera da giocatore e da allenatore, ricordata in questi momenti da tutti i siti d’informazione e dai relativi profili social.

Sempre a testa alta, sempre sincero ed onesto

Non si può raccontare Mihajlović se non si prova a capire che cosa si sia vissuto ad inizio degli anni novanta in Jugoslavia, una guerra che ha distrutto famiglie e amicizie soltanto in nome di una sorta di riscoperta e rivendicata differente etnia delle parti in causa; non si può scriverne senza menzionare l’ipocrisia di chi adesso lo incensa e a suo tempo – in nome del perbenismo e del politicamente corretto – si scandalizzava perché non avesse mai rinnegato Zeljko Raznatovic, meglio noto come la Tigre di Arkan o perché si beccò una lunga squalifica dopo aver sputato in faccia ed aver insultato il giocatore Patrick Viera (“mi ha chiamato zingaro di m***, gli ho risposto negro di m***, cose che rimangono in campo”, spiegò a suo tempo). Quando una persona è coerente ed ha la schiena dritta, non ci sono falsi moralismi che lo possano piegare. Con Mihajlović c’è riuscita soltanto la leucemia, ma non è detto che sia soltanto il risultato del primo tempo di una partita che adesso lui starà già giocando altrove.

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