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Expat e figli dell’Italia parallela, il futuro post pandemia è loro

29 Giugno 2020
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Prima o poi nella vita di tutti arriva il momento di uscire dal guscio. Nonostante il modo bizzarro di educare i figli di alcuni genitori, che vorrebbero che questo non accadesse mai, e malgrado sé stessi e quell’ambizione innata per la comodità e la stabilità di una casa, e meglio se quella dell’infanzia. Un passaggio che per alcuni arriva con la fine della scuola, per altri dopo l’università, per altri dopo aver trovato lavoro, per altri ancora dopo aver incontrato l’amore. Succede e deve succedere.

In Italia, negli ultimi anni, questo passaggio fondamentale corrisponde sempre più spesso con un cambio radicale di città, regione e, perfino, nazione o continente. Nell’ultimo decennio gli espatriati col passaporto italiano sono tornati a crescere con percentuali che non si vedevano dal secolo scorso, quando si partiva con il transatlantico o di notte in notte sui treni della speranza.

La ‘colpa’, secondo gli analisti, sta soprattutto nella grande recessione economica cominciata tra il 2007 e il 2008 e finita nel 2013. Tuttavia, come sempre, in queste analisi c’è un errore di base: ed è proprio quello di parlare di concetto di ‘colpa’ piuttosto che di ‘merito’. Quella della fuga dei millennial (nati negli dagli anni ’80 al ’96) e dei centennial (’96 e fine anni duemila), per intenderci, è una scelta narrativa corretta nel contenuto ma sbagliata nella prospettiva.

È vero che per l’Italia è una mazzata a livello demografico, e dunque economico. Ma è una situazione in parte compensata dall’arrivo di nuove leve straniere, e dai loro figli, sempre più specializzati. Che tra l’altro come numero di persone in sé è più o meno equivalente a quello degli expat. Eppure, e andrebbe insegnato e promosso con più vigore fin dalla scuola, è altrettanto vero che mettere i piedi oltre confine è un’opportunità imparagonabile per i giovani italiani. E non è soltanto una questione economica, che pure quella ha il suo peso, ma di apertura culturale e mentale, di respiro universale.

I dati dell’esodo dal Bel Paese sono, come si suol dire, inconfutabili. Stando all’ultimo ‘Rapporto Italiani nel Mondo‘ della Fondazione Migrantes, dal 2006 al 2019 la mobilità italiana è aumentata del +70,2 percento passando, in valore assoluto, da poco più di 3,1 milioni di iscritti all’Anagrafe italiani residenti all’estero (Aire) a quasi 5,3 milioni. Basti ricordare in Italia vivono 60 milioni di persone, il che vuol dire che gli iscritti all’Aire equivalgono a quasi il 9 percento della popolazione.

L’Italia parallela degli expat italiani

Una cifra così significativa che se infilassimo tutti gli expat italiani in una nuova regione chiamata ‘Italia parallela’ sarebbe la quarta più popolosa dietro Lombardia, Lazio e Campania e davanti a Sicilia, Veneto, Emilia e, insomma, avete capito. Questa nuova regione non solo sarebbe parecchio abitata ma avrebbe, addirittura, delle peculiarità demografiche da far invidia a qualsiasi governo al mondo. Sarebbe ricca di gioventù specializzata e di adulti nel pieno dell’età lavorativa. Il rapporto conferma, infatti, che oggi la mobilità oltre confine riguarda per il 40,6 percento giovani tra i 18 e i 34 anni e per il 24,3 percento persone tra i 35 e i 49 anni. E tutto questo senza considerare i tantissimi migranti non iscritti ad alcuna anagrafe.

Tra gli abitanti di questa ‘Italia parallela’ troveremmo, per esempio, Luciano Gregoretti. Con un lavoro da analista nelle risorse umane della Jp Morgan e da tempo negli Usa, a New York. Che durante una chiacchierata con TheMillennial ci ha confidato che il motivo che lo ha spinto fuori dal guscio è stato l’amore. Oggi in balia di un nuovo amore ma in fuga dal nemico invisibile del Covid-19, che proprio nella città della Grande Mela ha toccato vette spaventose.

Oppure ci sarebbe Beatrice Burchiellaro, a Belfast, in Irlanda del Nord da quasi due anni. Un lavoro alla Pwc nell’ingranaggio del controllo anti riciclaggio di denaro. Nel salotto virtuale dei talk di TheMillennial ci ha raccontato del suo smartworking e della nostalgia delle pause al pub con gli amici e i colleghi, l’attività di svago principale a quelle latitudini del meridiano di Greenwich.

Nel pianeta post coronavirus ci sarà ancora spazio per tutti gli expat del mondo. Uscire dal guscio andando verso terra straniera darà lo stesso una consapevolezza difficile da conseguire altrimenti. E come in ogni storia di migrazione, ci sarà sempre il tempo per un futuro ritorno in patria. E qualora succedesse, c’è da starne certi, si tornerebbe con uno sguardo nuovo. Da cittadini di una nazione sì, ma anche figli di quella patria parallela e senza confini che è il resto della Terra.

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