«In nome dell’amore celeste verso tutte le persone uccise per mano di quegli assassini; in nome di quella storia d’amore con Fabio Savi che mi ha permesso di porre fine ad una lunga scia di sangue».
A parlare così è Eva Mikula, che spiega perché ha scelto di pubblicare il suo libro autobiografico proprio il giorno di San Valentino. Scritto insieme al giornalista Marco Gregoretti, “Vuoto a perdere, verità nascoste sulla Banda della Uno Bianca” (Edizione Il Ciuffo) non si limita a raccontare la vita di quella ragazzina diventata quasi per caso la testimone chiave per smantellare una delle più sanguinarie organizzazioni criminali italiane di tutti i tempi. Il testo affronta, passo passo, la vicenda umana e personale della protagonista, intrecciandola con la scia di violenza che quelli della Uno Bianca lasciavano al loro passaggio. E, soprattutto, fa luce sulle verità non dette di quella vicenda giudiziaria durata anni e condizionata, volente o nolente, da un fattore non indifferente: i criminali, gli assassini, erano perlopiù uomini con la divisa. Il co-autore, Gregoretti, uno che non si accontenta delle mezze verità, ci racconta come nasce il volume.
Marco, partiamo dalle basi e visto che molti millennial ancora non c’erano, spieghiamo loro cosa ha fatto la Banda della Uno bianca?
La Banda della Uno bianca, tra il 1987 e il 1994, si rese protagonista di 103 assalti a banche, negozi, caselli autostradali, cooperative uccidendo 24 persone e ferendone 102. Operò in Emilia Romagna e nelle Marche.
Chi erano i membri della banda?
Erano in sei, di cui cinque poliziotti. Tutto ruotava intorno ai fratelli Savi, Fabio, il capo, l’unico non poliziotto, Roberto, poliziotto a Bologna e Alberto, agente nel Commissariato di Polizia di Rimini.
Perché scrivere un libro a distanza di così tanti anni?
Non tutte le verità sono state raccontate. Così Eva Mikula, per 33 mesi donna del capo, che aveva già ucciso 22 persone, ha deciso di scrivere un libro autobiografico insieme a me per rivelare aspetti che sono stati nascosti, sebbene presenti negli atti giudiziari. Il principale è che furono catturati per merito di suo, che allora era una ragazza di 19 anni. Stufa di prendersi botte da orbi, decise di raccontare tutto, una notte di novembre nel 1994, a tre poliziotti e tre magistrati che la interrogarono a Rimini due giorni dopo una parossistica nottata in un autogrill sull’autostrada vicino a Tarvisio.
Chi è Eva Mikula? Qual è la sua storia? La sua “verità”?
Eva Mikula, appunto, era la donna del capo. Si erano conosciuti in un ristorante di Budapest dove lei, dopo essere scappata da casa, in Romania, lavorava come cameriera. Aveva solo 16 anni, la metà di Fabio Savi che ne aveva 32, era sposato e aveva un figlio piccolo. Le sue verità sono tante: oltre a quella del fondamentale ruolo avuto nella cattura della banda, dopo che la polizia aveva vagato nelle nebbie, senza capirci nulla, per sette anni e mezzo, ci sono quelle della sua vita. Gli abusi subiti in casa da suo fratello, la dittatura di Nicolae Ceausescu, la violenza del padre, il tentato suicidio, la fuga in Ungheria.
Come nasce il vostro incontro?
Nell’estate del 2020 mi ha contattato via e-mail e ha voluto incontrarmi a Roma. Probabilmente aveva letto gli articoli che scrissi ai tempi degli arresti e quello, su di lei, che feci per il magazine della trasmissione di Rete 4 Quarto Grado. All’inizio mi parlò di una fiction, poi di un podcast. Infine optò per il libro proponendomi di darle una mano a scriverlo. “Vuoto a perdere. Verità nascoste sulla Banda della Uno bianca”. Quattordici capitoli, con foto e documenti in appendice.
È stato facile lavorare con lei? Come avete superato gli ostacoli della pandemia?
Al netto di come può essere a volte complesso l’atteggiamento di una persona che ha subito tante violenze e ha avuto tante paure, non è stato particolarmente difficile. Ci siamo incontrati qualche volta a Roma: io con l’autocertificazione Fnsi- Prefettura come giornalista. Poi abbiamo adottato il sistema dei racconti audio. Lei registrava e mi inviava il contenuto via Whatsapp. Un mio giovane collaboratore lo sbobinava e io lo riscrivevo contestualizzandolo, rendendolo fluido e precisando le notizie.
Quanto questo libro – o la storia della Banda della Uno bianca in generale – sarebbe adatto per un docufilm o per una serie televisiva su Netflix o Prime? Lo proporrete?
Sarebbe perfetto per una fiction, per un docufilm. L’idea di farne qualche cosa del genere, naturalmente c’è. E un importante produttore che conosco è sul pezzo.
Dopo aver approfondito il tema, credi che con i mezzi di oggi si sarebbe arrivati prima alla verità?
La verità si è sempre saputa. Ma sono stati effettuati dei depistaggi che portarono perfino degli innocenti in galera. Poi liberati.
Quanto ha inciso nella cultura dell’epoca l’azione criminale di questo gruppo. Per lo meno in quei territori?
Più che altro ci fu il tentativo da parte di un importante magistrato bolognese di dare una connotazione politica alla Banda, naturalmente “fascio terroristica”. E per cercare di dimostrare questa stupidaggine fecero carne da macello con la logica, con lo Stato di diritto, con l’investigazione. E con la vita della stessa Eva Mikula a cui tolsero il programma di protezione per metterla in un assurdo tritacarne ipotizzando perfino che fosse una spia dei servizi deviati dell’Est. A 15 anni! Non le risparmiarono neanche un interrogatorio sull’attentato all’aereo che, nel 1980, quando lei aveva cinque anni, precipitò davanti a Ustica.
C’è ancora da scavare? Se sì, visto che ti conosciamo, hai intenzione di farlo?
Vivo scavando. Anche sulla storia della Banda della Uno bianca. Anche…
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