Vorrei fare una riflessione su due parole, che unite insieme hanno un suono oramai conosciuto: ansia sociale. Ansia o fobia sociale, nel gergo tecnico, sta a indicare quel particolare tipo di ansia che emerge nel contesto sociale, e che impedisce alla persona che ne soffre di relazionasi in maniera armoniosa con gli altri.
Questa paura scaturisce dal rischio (immaginato) di comportarsi di fronte agli altri in una maniera imbarazzante o errata, con il rischio quindi di essere vittima del giudizio sociale.
Bene, ora vorrei dare un’altra connotazione a queste due parole, provando magari a coniare un termine tutto nuovo per indicare un’altra tipologia di ansia sociale: quell’ansia che il sociale, la società, ti vuole mettere addosso quando raggiungi dei traguardi “importanti” in termini di età.
Ci tengo innanzitutto a mettere l’aggettivo “importanti” tra virgolette, dal momento che non c’è un importante assoluto ma ciascuna persona decide di per sé che cosa è importante e se questo presupposto fosse condiviso sarebbe già un bel traguardo: ciò che è importante per me, può non esserlo per qualcun altro e vice versa.
Ora, la nostra vita è scandita da tappe fin dalla nascita e questo è un dato di fatto. Ed è necessario, perché ciò ci permette di valutare quale sviluppo sia nella norma e quale potremmo considerare “anormale”, cioè agli estremi di una gaussiana, in termini sia positivi che negativi.
Lo svezzamento, i dentini da latte… tanto per partire dalle prime fasi dello sviluppo.
L’inserimento al nido o direttamente alle scuole materne, la prima elementare e la prima media. Poi c’è il passaggio al liceo – ad oggi passaggio pressoché obbligato – e poi ecco che può aprirsi uno spazio per la differenziazione: lavoro o università.
E qui, ancora, è lecito che vi siano delle tappe dettate anche dall’età. E poi?
E poi…
Poi è come se succedesse che oltre una certa età, che oggi possiamo collocare tra i 25 e i 27 anni, la società inizi ad aspettarsi qualcosa da noi. Solo in quel momento si accorge che “ah! Oramai hai una certa età… che intenzioni hai?”.
È come se da un certo momento in poi dovessimo essere pronti a tutto: lavorare, avere un partner più o meno stabile, andare a convivere, sposarsi e avere dei figli (non per forza in quest’ordine perché qui, ebbene sì, la società non sembra più essere così lineare e rigorosa).
E sono tutte cose bellissime, non fraintendiamoci, ma #nopressure.
Che ansia quando la società si aspetta da te delle cose solo perchè hai compiuto una certa età. Che poi non è niente di diverso dal compimento dei 18 anni: “Adesso che sei maggiorenne, certe cose non te le puoi più permettere”. Che va benissimo, c’è una bella differenza tra minore e maggiore età anche da un punto di vista legale. Ma cosa cambia da ieri che eri 17enne a oggi che ne hai 18, di anni?
Cosa cambia dai 27 ai 28 anni? O dai 28 ai 29?
A noi donne ci frega l’orologio biologico, su questo non ci piove.
Ma è certamente meno bigotto e più tollerante della società, tanto che l’età media di concepimento del primo figlio non è più 26 anni come nel 1990, bensì 31.
Quindi, gente, no ansia sociale, che ogni cosa ha il suo tempo e quel tempo sta a noi deciderlo.
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