Perché la maggior parte dei miei tentativi di dating online sono fallimentari

4 Dicembre 2019
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Ho quasi trent’anni e non so rimorchiare una ragazza sul web. Suona triste, ma è molto peggio di come sembra. Faccio parte di quella generazione che non si era mai posta il problema. Poi, però, il problema si è posto a noi.

 

 

Siamo cresciuti tra vie, pub e discoteche. Le regole d’ingaggio erano semplici. Qualche birra o superalcolico per diluire la timidezza; un po’ di coraggio arrotolato in una striscia di cellulosa; poi, ispirazione e fantasia, con il sogno proibito di un bacio a fine serata – magari con la lingua, prima di battere in ritirata verso casa.

Ho quasi trent’anni e sono tagliato fuori dal mondo. Finché non ci passi non lo sai. Te ne accorgi in un pomeriggio qualsiasi. Senti il desiderio di una serata diversa, della ragazza che t’attizza, ma senza passare da quel triste equivoco chiamato relazione. Così ti fai coraggio. Rovisti tra gli account dei social network. Spulci le foto e passi in rassegna gli ultimi tre mesi della sua bacheca. Analizzi, poi le scrivi cercando di non sembrare troppo diretto o scontato, evitando giri di parole, battute idiote e facili allusioni, scegliendo un argomento che possa coinvolgerla, invogliarla a raccontarsi, magari una domanda brillante che le faccia capire che ti interessa per quello che è e non per come si pone: “ciao, come va?”.

Il 14 dicembre sarà un anno senza risposta, spero non le sia successo alcunché.

Mi ritengo un ragazzo come tanti: non sfiguro tra pochi, non mi distinguo tra molti. Chiusa l’ultima storia ho deciso di prendermi un periodo sabbatico. Non è durato poi molto.

Uscito dal letargo, ho riscoperto un appetito che per un certo lasso di tempo ho cercato di trascurare il più possibile. Ma i soliti locali e le cerchie abitudinarie ormai non avevano un granché da offrire. L’unica strada rimasta era quella dei social.

Per quanto bruci, la delusione non arde in eterno. Mi sono messo d’impegno per capire cosa fosse andato male a tal punto da non meritare nemmeno un rifiuto di cortesia. Ho stampato la chat come stimolo al miglioramento e l’ho appesa in camera. Dopodiché ho ripetuto l’esperimento, ovviamente variando l’obiettivo. Lavorando sugli incipit – diretti, curiosi, buffi, gentili, grafici, bruschi, dolci, interrotti – ho scoperto che esistono centinaia di sfumature diverse per fallire.

I numerosi fiaschi e un’innata curiosità antropologica mi hanno spinto a chiedere consiglio ad alcune amiche, dotte cultrici dell’Ingegneria sociale del dating online – chi, come me, negli ultimi anni ha vissuto sulla Galassia persa nello spazio può consultare la pagina Wikipedia dedicata. Ragionando con loro, mi sono fatto un’idea di come funzionino le cose.

La maggior parte dei miei coetanei apre un account per fare social snorkeling negli album delle foto. L’immagine è tutto (ma guai a complimentarsi – è da disperati). Eppure a molte donne non piace essere abbordate sui social. Non le lusinga l’essere scelte per il solo aspetto estetico. A loro per lo più non interessano gli apprezzamenti diretti e men che meno le pulsioni sessuali maschili. Vogliono essere scoperte nella loro unicità, adorate nella loro bravura, comprese nella loro stravaganza. La verità è che tutto questo è ciò che un tempo veniva chiamato corteggiamento: una lunga e costante azione di pressing pancia-a-terra in cui la donna non deve minimamente rendersi conto di sapere che il tuo obiettivo è uno e uno soltanto: scopare. Il motivo? Chi ha bisogno di motivi quando dispone di un esercito di estrogeni?

Per quelli come me, che non sanno più corteggiare, la cattiva notizia è che non ci sono speranze. Per finire a letto ci dev’essere fiducia, che si instaura a partire dalla conoscenza, da raggiungere attraverso la conversazione, costruita sulla base dell’interesse, stuzzicato dalla curiosità, suscitata di un unico fottutissimo messaggio d’apertura.
L’ansia in confronto è un sedativo.

Io ci ho provato. Ho cercato una formula, ma invano. Non so corteggiare, figuriamoci sui social network. Ho deciso di tornare nella vita reale, dove si abbordava meglio quando si rimorchiava peggio.
A volte mi capita ancora di parlare con qualche ragazza. Ed è lì che qualcosa accade. In quei momenti, quando la guardo negli occhi, un’incertezza sepolta prova a tornare a galla. Una sensazione strana, a punto di domanda, che mi si precipita sulla lingua: cosa ti rende migliore di un solitario?

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