“No, no, no! Quel tasto no!”. L’ho appena ripetuto a mio figlio di tre anni e mezzo che resta seduto sulla scrivania, accanto al mio computer, in attesa che io mi decida a giocare con lui o che gli racconti un’altra storia. “Andiamo a giocare con i dinosauri?”, mi sta chiedendo.
Sta succedendo realmente. Ora cerco di evitare la sua testa che di tanto in tanto si interpone tra me e lo schermo. Sta facendo “Rrrr!”, “Arrr!”, “Sono un T-rex” e nel frattempo spalanca la bocca come a provare ad azzannarmi la giugulare. Accade proprio in questo istante. Non sto aggiungendo nulla di mio a questa strana mattinata primaverile. Ora, dopo aver contemplato il panorama ampio che si vede dalla finestra al sesto piano sotto la quale è posta la scrivania – gli alberi quasi in fiore della Collina dei Ciliegi, quella ricavata dalla macerie dei capannoni e delle fabbriche della Pirelli che decenni fa pullulavano in questa zona di Milano – è disteso davanti a me: “Stiben, mi fai il solletico”.
La relazione con i figli in tempi di quarantena
“Stiben”, sì da qualche giorno mi chiama così. “Papà” lo usa molto di rado. Credo sia per via della ‘quarantena’ forzata per affrontare l’emergenza coronavirus, che da oramai più di un mese lo costringe a stare a casa con me, la sua mamma e il fratellino di neanche tre mesi. “Stiben” per “papà”, come se io fossi un suo compagnetto di giochi. “Gabri” o “maestra” per “mamma”. Segno che anche attraverso il linguaggio, questo piccolo isolato, cerca di ritrovare la normalità che gli apparteneva fino metà febbraio. Da genitori siamo diventati suoi amici. Anche se già lo eravamo, ovvio, millennial come siamo anche nelle scelte pedagogiche messe sul campo da quando è arrivato nelle nostre vite.
Smartwork e asilo nido domestico, la famiglia millennial
Il 2020 era iniziato con la grossa novità dell’arrivo di un secondo figlio a popolare questi 85 metri quadri di caos armonico che sono la mia casa. Con l’isolamento anti Covid 19, il vero cambio è diventato proprio questo nuovo modo di vivere. La quarantena sta senza dubbio stravolgendo il mio modo di essere papà millennial: smartworking ma anche scuola dell’infanzia domestica. Una fatica ma anche una possibilità da sfruttare al massimo per conoscere meglio le esigenze dei figli. Un cambio epocale per noi millennial che siamo abituati a non averli tra i piedi 24 ore su 24 grazie al nido, alla scuola, alle maestre, alle tate e ai nonni.
Il mio tirannosauro ora sta puntando sul mappamondo che ho appeso accanto alla scrivania. “Papà, qui abita cilena?”, “Stiben, qui abita Colombia?”, “Stiben, dove abita quel tuo amico della videochiamata di ieri, qui?”. Ripete con la velocità di un telecronista sportivo sudamericano, senza quasi respirare, mentre punta i suoi artigli correttamente sul Cile, la Colombia e gli Stati Uniti. Segno che delle lezioni inutili di questo papà millennial e noioso, che passa ore e ore davanti al pc mentre lui è in casa a cercare come divertirsi senza i suoi compagnetti, resta qualcosa.
Ora che il giovane dinosauro ha desistito ed è andato dalla mamma maestra mi è stato consegnato un passeggino da continuare a cullare col piede. Dentro c’è il futuro gigante della preistoria ancora troppo cucciolo per stare a quattro zampe. Intanto il fratellone, con la saggezza snella di un bambino, convince la mamma millennial della cosa più giusta da fare: “Dobbiamo giocare. È questa la parola più importante del mondo. Perché è sempre bello”.
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