Sono un papà millennial*. Sposato con una mamma millennial. Con i nonni baby boomers, che vivono in una città lontana 1.341,2 km da Milano: che per noi significa nido, inteso come dimora (Milano) e come scuola (l’asilo). Lo si capisce perché lavoro a tempo pieno a casa – credo quesa sia un’occupazione h24 – e poi tra le 8 e le 10 ore in un ufficio. Sì, è uno strano fenomeno spazio-temporale, ma la mia giornata tipo è fatta di circa 34 ore. Vivo correndo in direzione ovest attraverso i meridiani.
Non si tratta di essere speciale. Anzi. Conosco almeno un’altra persona che vive allo stesso modo, o meglio che deve correre più di me attraverso quelle fette allungate di pianeta terra per trovare il tempo anche per scrivere la tesi: mia moglie. E questa percezione agonica del tempo, sebbene contraddistingua la mia generazione impaziente e insofferente per le attese, è precipitata da quando nell’estate del 2016 sono rincasato alla guida di un passeggino full optional con tanto di navetta pilotata da un piccolo me, lungo appena 50 centimetri.
Figlio = meno tempo: i non consigli di un papà
Da quel momento non sono stato più io, spensierato millennial, ad aggiungere attività su attività alla mia già intasata agenda. Il comando – checché ne dicano gli studi che premiano i papà della mia generazione per essere equilibrati e aver mantenuto il tempo giusto per le loro passioni – è passato nelle minuscole mani del mini pilota. È stato e continua ad essere lui a gestire in maniera subdola il mio orologio. Non lui direttamente ma i suoi numerosi impegni quotidiani: innati. Dolcissimi. Snervantissimi. Tenerissimi. Divertentissimi. Puzzosissimi. Bellissimi. Ma che richiedono presenza – e in questo i papà millennial pare siano i campioni transgenerazionali – e quindi secondi, minuti e ore.
Non esistono, a mio avviso, sortilegi per invertire questa operazione aritmetica: figlio = meno tempo. Ho sperimentato che la questione potrebbe avere varie soluzioni, su più livelli. La più drastica – sconsigliatissima – è quella di fregarsene ed essere un papà assente. Poi c’è quella – difficile per le caratteristiche della nostra generazione Y – di mettere in fila un elenco di cose e riordinare tutto, tagliando completamente il superfluo. E finalmente – per me la più congeniale per i papà millennial – l’unica soluzione nella quale siamo dei fuoriclasse: essere flessibili. Scegliere l’essenziale ma non eliminare del tutto il marginale perché, se capita – e capita – di correre più veloce della rotazione terrestre, il tempo per vivere una vana amenità salta fuori dall’orologio, sornione e inaspettato.
* La premessa: chi è il papà millennial
Premessa basilare. Sono un papà classe ’84 e quindi dovrei rientrare comodo comodo in questa definizione qui: “Papà millennial”. Stando ad alcune ricerche sociologiche, siamo considerati bravi papà. Molto più dei nostri padri, nonni e bisnonni e quindi, forse, i migliori di sempre. Ipg Warehouse – specializzata in analisi e approfondimenti legati a temi sociali – partendo da uno studio di Initiative – network di comunicazione globale – che ha avuto come protagonisti 5.250 papà, tra i 25 e i 34 anni, ci etichetta sinteticamente come dei super papà. Il che è una bellissima notizia per mio figlio Sbiribongibongi di quasi 3 anni.
Siamo, perciò, molto coinvolti nella paternità e nella quotidianità casalinga. Passiamo più tempo con i figli a confronto delle generazioni precedenti. Siamo più responsabili, più ottimisti, più sicuri e meno stressati rispetto all’era senza il piccolo noi o la piccola (e qui ci sta il nome della vostra compagna) in giro per casa. Tra l’altro, pare, che con estrema saggezza ed equilibrio, abbiamo mantenuto del tempo anche per le nostre passioni. E, infine, ci informiamo sul web per imparare e, vittime del dadvertising, per scegliere i prodotti più adatti per i nostri figli… Fermi un attimo, parliamone.
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