Sono le orecchie a definire chi siamo. Perché ci vuole orecchio!

19 Febbraio 2018
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Cos’ hanno in comune il padre Sigmund Freud, Sherlock Holmes e le analisi artistiche di Giovanni Morelli? Parliamo di psicoanalisti, di detective e di storici dell’arte. Beh, elementare, Watson: le orecchie. Per fare certe cose, ci vuole orecchio.

No, non parliamo di come nascondere le orecchie a sventola e altre amenità. Piuttosto, per risolvere un caso, per scovare i dettagli di un quadro, per capire la psicologia…ci vuole orecchio. A patto di averlo tutto immerso dentro al secchio.

Sherlock Holemes in uno dei suoi celebri casi, lavora al mistero delle due orecchie tagliate, inviate poi per posta a Miss Susan Cushing.

Le orecchie della sfortunata destinataria e quelle della vittima presentano caratteristiche molto simili, sicuramente sono parenti. Questo dettaglio non sfuggirà al detective che, così, risolverà il caso. Watson conferma: “Non esiste parte del corpo umano che offra varianti maggiori di un orecchio. Ciascun orecchio ha caratteristiche sue proprie e differisce da tutti gli altri”.

A fine ‘800 però Sherlock non era il solo, anche lo storico d’arte Giovanni Morelli aveva capito che ci vuole orecchio.

Se Holmes risaliva al criminale, Morelli risaliva all’autore delle opere analizzate proprio tramite l’attenta osservazione delle orecchie. Elementi ritenuti secondari in un dipinto (come le orecchie) avrebbero potuto rivelare l’identità dell’artista in caso di attribuzioni incerte:

“La personalità di un autore emerge dove lo sforzo personale è meno intenso”.

“Chi ha perso il ritmo si deve ritirare
non c’è più posto per chi sa far da solo,
due note e un si bemolle fuori luogo”

Così cantava Enzo Jannacci.

Nel mondo dell’arte, il metodo di Morelli getterà le basi dell’attribuzionismo. Grazie al quale la ricerca nel mondo artistico ha potuto fare decisivi passi avanti. Molte opere sono state riconosciute nonostante fossero state ritrovate senza informazioni sull’autore o sul periodo di provenienza.

Nasce così la professione del conoscitore, colui che come un detective, va alla ricercati indizi nelle opere per stabilirne la datazione, la provenienza, l’autore, ma soprattutto per distinguere un falso da un originale.

L’artista, quindi, può essere “tradito” dai dettagli, come il criminale dalle impronte digitali.

Ecco che siamo già a due: Morelli e Arthur Conan Doyl avevano entrambi trovato il modo di risolvere i loro problemi…perché ci vuole orecchio, bisogna averlo tutto, anzi, parecchio.

Nello stesso periodo, Sigmund Freud analizzava gli atti inconsapevoli, i lapsus, i tic nevrotici, sfuggiti al controllo dei suoi pazienti. Ecco che si manifesta un sottile legame che collega Morelli a Freud.

Morelli era laureato in medicina e Freud, che prima di tutto era un medico, conosceva la sua tecnica e i suoi scritti. Guarda caso anche Conan Doyle aveva fatto il medico prima di diventare uno scrittore e dedicarsi interamente alla letteratura del giallo. L’anatomia non è mai stata così importante, ci volevano tre medici per capirlo e per dare finalmente la giusta importanza a quegli ammassi di cartilagine che chiamiamo orecchie. Perché ci vuole orecchio!

Introduciamo ora un quarto personaggio che, a parte il possedere due orecchie, ha rivoluzionato il campo della semiotica e della filosofia. Charles S. Peirce è uno dei massimi filosofi americani e tra i più influenti pensatori contemporanei. Considerato il padre del pragmatismo, Peirce ha analizzato cosa succede nella nostra mente quando subentra una nuova conoscenza. L’abduzione che interessa a Peirce è quella in cui si mettono per la prima volta in campo delle relazioni tra i fenomeni e si costituiscono così nuovi principi per osservarli.

Sono passati i secoli ma possiamo vedere che ancora oggi, il detective, il filosofo, il medico, lo psicanalista usano nelle loro discipline le stesse procedure inferenziali, per capire la realtà che hanno dinanzi, per analizzare i dati e i fatti, per fare nuove scoperte, per non restare indietro.

Chi l’avrebbe mai detto che tutta questa teoria sulla deduzione umana fosse nata, appunto, dalle orecchie?

Per approfondire: date un occhio al saggio di Carlo Ginzburg Spie del 1986.

 

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