L’altro giorno, mentre scorrevo la home di Facebook – sì so che ormai fa più Millenial Instagram, ma sto cercando casa e fidatevi che a tal proposito i gruppi di Facebook si rivelano risorse fondamentali – mi sono imbattuta in una videointervista di Freeda all’atleta paralimpica Veronica Yoko Plebani. Immediatamente mi sono ricordata del mio incontro, se così può essere definito, con un’altra grande protagonista della scena paraolimpica azzurra, Bebe Vio. E ho capito perché gli altri ci vedono più belli dal vivo che sui social.
La scorsa primavera, in occasione di un evento Nike Breaking2 Together, l’azzurra era insieme ad altri grandi protagonisti dello scenario sportivo italiano (come il cestista Marco Belinelli e il campione di salto in alto Gianmarco Tamberi, mia grande crush che per questo devo necessariamente citare, non si sa mai…) e internazionale. Mi trovavo a pochi metri da loro, al di là delle transenne, quando sono scesi dalle auto blindate. Subito il mio sguardo è stato catturato dalla giovane atleta, piccolina di statura aveva due occhi capaci di catalizzare completamente l’attenzione. Azzurrissimi, luminosi, vivaci. In realtà, era in generale il suo viso ad avermi colpito, delicato e assolutamente armonioso, quasi angelico con la carnagione così chiara, suscitava in me quel sentimento tutto femminile che, lungi dall’essere paragonato alla meschina invidia, ti fa pensare “Quanto vorrei essere io così”. Detto ciò, non mi perderò nella narrazione del pomeriggio, perché non è di questo che voglio parlarvi oggi.
Mente ero in tram, sulla via di ritorno verso casa, ho scrollato un po’ le foto postate su Instagram con l’hashtag dell’evento e sono finita sul profilo di Bebe Vio. In quel momento, lo sconcerto. E mi sono resa conto che probabilmente gli altri ci vedono più belli dal vivo. Nelle foto ho visto le cicatrici della cui esistenza, effettivamente, ero già consapevole prima dell’incontro. Il fatto è che dal vivo quelle cicatrici io vi giuro che non le ho notate proprio, erano completamente annullate nella bellezza di quel viso. Ci tengo a precisare che non vi sto dicendo “È bella comunque”, “I segni delle battaglie che portiamo sono la vera bellezza” e tutte queste cose acchiappa like. Che, per carità, saranno anche vere, ma lasciatemi dire che fanno anche un po’ innervosire, piene di retorica come sono, che quasi riesco a immaginare lo sguardo pieno di pietà di chi le pronuncia.
Io vi sto dicendo, che davvero quelle cicatrici non le ho viste! Che ho pensato solo “Magari avessi io un viso così”. E queste parole vorrei dire anche alla diretta interessata, non in qualità di atleta paraolimpica, bensì di persona e donna, perché penso che sentirsi dire “Sti cazzi, hai un viso bellissimo, davvero” non possa che far bene. Quello che ho capito è che le foto postate su Instagram, i video caricati su YouTube, le riprese TV, riportano alla perfezione immagini dettagliate, ma appiattiscono tutto quanto: stampano i volti su uno schermo e li lasciano lì, inermi, alla mercé di chiunque. Gli altri ci vedono più belli dal vivo. Un volto e un corpo senz’anima, io non riesco proprio a giudicarli. E allora mi chiedo, chissà se anche incontrando Veronica Yoko Plebani avrei finito con il non notare quei segni sulle guance. Il concetto di bellezza non è frivolo di per sé. È che noi l’abbiamo reso tale negli ultimi tempi basando i nostri giudizi su quelle robe lì. Esiste la bellezza interiore, così come esiste quella esteriore e hanno diritto a godere di pari dignità. Anzi, questi due concetti interagiscono di continuo tra loro. È proprio la particolarissima relazione che alcune persone riescono a creare tra queste due sfere la chiave della loro bellezza.
Per questo dico che è impossibile giudicare come “bello o brutto” qualcosa con cui non si ha a che fare di persona, perché anche la “mera” attrazione fisica è fatta di sguardi, odori, impressioni e luci oltre che di curve, addominali e capelli lucenti. Che poi lo so, in realtà vi trovate in imbarazzo quando avete di fronte quella persona lì che tanto avete adorato su Instagram, perché sì, è bello proprio come in foto…eppure non è che abbiate passato proprio la serata più bella della vostra vita.
E allora fanculo Tinder che sta rendendo brutto anche il sesso e a Facebook e Instagram che stanno facendo dimenticare alle adolescenti che conta più imparare ad ammiccare in modo adeguato che a scattare i selfie dalla posizione giusta. E dall’altro lato, tanto di cappello a voi che riuscite a capire il vostro punto di forza interiore e farne sfoggio, mettendolo a servizio del vostro aspetto esteriore per essere belli agli occhi delle persone che lo sanno notare. Perché gli altri ci vedono più belli quando noi stessi sappiamo chi siamo.
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