Per la serie: corbellerie da spiaggia, rispondiamo ai nonni che ci chiedono se lo spinner è più tossico dello smartphone
Il nonno da spiaggia, l’umarell, il giovane anziano, insomma l’uomo che scruta l’orizzonte in attesa di qualche mezzo da sbarco angloamericano con le mani dietro la schiena, si preoccupa. Quel coso gira fra le mani di suo nipote al pari di quel telefono “androide galattico”, impedendogli di godersi spettacoli ineguagliabili come il vento garbino che cala e la bandiera del bagnino che da rossa diventa bianca. Sarà mica pericoloso… Ebbene abbiamo fatto un’indagine serissima che vuole dare risposte sulla tossicità di due ossessioni, lo spinner e lo smartphone.
Da qualche mese gli intellettuali mondiali si scervellano per dare spiegazioni su questo spinner, aggeggio triforato dal movimento circolare che non serve a un piffero. Invece pare dimenticata la smania da Whatsapp, da social e tutte quelle cosine internettiane sulle quali i giovani d’oggi passano ore. Addirittura c’è chi dalle colonne di autorevoli giornali, esalta gli smarthphone definendoli baby sitter a basso costo. A quanto pare, forse per tranquillizzare i nonni la sparano grossa: se i ragazzi non si drogano è un po’ anche merito degli smartphone. Anche il New York Times ci crede: l’assunzione di stupefacenti negli adolescenti è in calo. E il merito è proprio collegato allo sviluppo dei mobile device. Poi se finiscono squizzati da un autotreno carico di ghiaia mentre lanciano palle di fuoco dal Pokemon Go, pazienza, stavano solo giocando. O no?
In verità dalla Columbia University fanno sapere che non è mica così, perché l’interattività offerta da molte app ha sul cervello effetti paragonabili a quelli delle droghe: «Giocare ai videogiochi e utilizzare i social media soddisfa la necessità di provare sensazioni forti, il bisogno di attività sempre nuove», dice infatti la dottoressa Silvia Martins, che da tempo si occupa dell’abuso di sostanze stupefacenti tra i giovani. Dello stesso parere è anche Nora Volkow, direttrice dell’Istituto nazionale Usa sull’abuso di droghe (NIDA), secondo la quale «gli adolescenti, ma anche i millennial, possono letteralmente sballarsi attraverso l’utilizzo massivo degli smartphone».
Il buon senso italiano, dice invece che è tutta colpa del taglio delle paghette. Cioè meno soldi, meno canne, tanti touch screen. Si parla, sì di un calo di consumo di cannabis (fenomeno che è osservabile in tutta Europa), ma gli scienziati qui sono un po’ più scettici nel collegarlo agli smartphone: «Mi sembra troppo semplice pensare a una relazione diretta tra abuso di sostanze e dipendenza da internet», dice la dottoressa Sabrina Molinaro, coordinatrice dell’area Epidemiologia e Promozione della Salute di IFC, «piuttosto dai nostri dati sembra più plausibile che a modulare i consumi di droghe sia stata la crisi»
Alessandro Calderoni, psicoterapeuta ed esperto di Mindfulness (suo il centro Psymind di Novate milanese) non se la sente di archiviare la cosa così, con la crisi. Perché è un po’ come scambiare le cause con gli effetti. Per questo vede vere parentele tra spinner e smartphone, entrambi molto in linea con le attitudini tecnologiche dei millennial: «Parliamo di una generazione che vive sotto stimoli ultrarapidi, ha necessità di muoversi in fretta, ha necessità tattili di fare refresh su schermi e computer. Non c’è pazienza, c’è invece un’ansia crescente e dunque lo spinner è uno strumento abbastanza valido come antistress. Ma, rispetto allo smartphone, porta a soddisfare in modo più semplice tre elementi la cui mancanza è fonte d’ansia. C’è infatti l’elemento tattile, quello visivo e quello della concentrazione. Tre azioni facili utili a spostare l’attenzione da pensieri ansiogeni». Capito nonno?
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