The social Dilemma è un film insincero? Salutiamo i patetici Dilemmials

20 Ottobre 2020
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Non puoi richiudere il genio nella lampada una volta che l’hai fatto uscire

Per prima cosa, la tristezza. Venata dal solito narcisismo e perfino da un certo compiacimento. The Social Dilemma, questa specie di pietra miliare, tappa penitenziale dei millennial in contrizione è un documentario Netflix. Furbo.

Di che cosa parla The Social Dilemma? Di internet, del grande mercato dei dati profilati, dei social network. E di come loro, founder, co-founder e vattelapesca siano stati bravi anzi bravissimi a cambiare in peggio il mondo. Lavandosi di rado i capelli e mettendo le stringate senza i calzini.

Il cast lo scoprite da soli: sono tutti personaggi chiave dell’evoluzione social degli ultimi 10 anni. Quelli che sono stati a un passo dall’essere diventati Zuckerberg. Ma poi no. C’è quello che ha inventato il bottone like di Facebook (vi ricordate “mi piace questo elemento”), quello di Pinterest, e molti molti altri.

Fanno un audodafé ridicolo davanti a signori polverosi ma indubbiamente più di spessore di loro al Congresso americano. Sembrano i protagonisti di quelle cene di classe che chiedono scusa 20 anni dopo ai compagni sfigati per averli bullizzati. Dall’alto dei loro conti correnti però sembrano dire e dirsi che che però sono comunque i migliori.

Chi non ha contezza di quanto accaduto in questi anni di cookies infiniti che si sono insinuati come virus nei nostri telefoni e nei nostri portafogli, potrà trovare risposte.

Non così comprensibili, ma sufficientemente distopiche. Responsi al perché il mondo sta cambiando e perché i cattivi usano lo smartphone per condizionare le elezioni. Ma anche perché è cresciuto così tanto il mercato dei gattini da postare. Insomma, tutto. Tante risposte su tutto: fake news, suicidi per abbandono di follower, manipolazioni, persuasioni, distacchi di retina e dalla realtà.

Il lato oscuro della Forza.

È incredibile come i millennial di The Social Dilemma facciano così fatica a uscire dallo schema di Guerre Stellari per governare la propria vita e le proprie esistenze. Ci raccontano di un algoritmo che ci monitora e spinge per farci vedere cose che fanno detonare in noi botte di dopamina. Robe che ci rendono dipendenti dalle reazioni di chi ci segue.

Un popolo schiavo di un Vader persuasore occulto. Da lui dipendente emotivamente ogni giorno. The social Dilemma è il dilemma di come uscire dal lato oscuro della Forza e diventare etici come quelli di Wikipedia.

Un po’ tardi, no? Il dibattito è fatto a confessione laconica. Con l’estetica di un interrogatorio del tutto falsato in una specie di Norimberga della Silicon Valley, tra stanze cementizie vuote e tristi non dice davvero niente di nuovo.

Dov’erano questi signori del silicio quando il mondo economico finanziario inneggiava all’invenzione di un modello come quello della Long Tail, capace di portare il grosso dei guadagni grazie all’invenduto di sempre?

Non volevano nuocere a nessuno, si dicono quelli di The Social Dilemma, tirandosi le magliette grigie e stropicciate. Ma di certo dicono anche “ai nostri figli non facciamo usare gli smartphone. Troppo manipolatori”.

In che modo questo utilizzo porti gli adolescenti che vediamo sullo schermo a essere pestati dai soliti poliziotti americani cattivoni perché protestano al parco, nel documentario non si capisce. Forse perché hanno perso un’asta di Supreme?

È abbastanza inutile nel 2020 fondare un movimento di attivisti contro l’uso distorto di questi strumenti, associandoli al più grande potere capitalistico che la storia mondiale abbia mai creato.

È abbastanza sospetto farlo in piena campagna elettorale presidenziale del novembre 2020. Di certo The Social Dilemma non racconta balle, questo va detto. Ma non racconta nemmeno nuove verità.

Sembra piuttosto voler “celebrare” questi millennial pentiti, che corrono tra le braccia di Greta Thunberg, che si prendono la responsabilità di aver fomentato la polarizzazione, il populismo, l’odio in rete.

Insomma un po’ troppo e senza contraddittorio. Si accusano i tycoon della Silicon Valley di annunciare release correttive e più etiche senza poi farlo veramente. Ma nessuno di loro è stato intervistato a difesa.

Accusano il machine learning e le psicotrappole messe nelle sapienti mani degli algoritmi, denunciando drammaticamente che l’algoritmo non pensa da umano.

Ma va? E chi lo avrebbe mai detto?

A molti di questi mancava un hashtag, un me too in grado di redimerli e forse permettere loro di andare in culo ai monopolisti del pushing virale. Personalità discutibili e certamente ormai molto lontane dall’etica di un settore è che si è spinto davvero troppo oltre.

Ma questo documentario è altrettanto manipolatorio e sospetto: si conclude con un niente di fatto, non c’è un’idea di come uscirne, si sciorinano frasi a effetto come: «Non puoi richiudere il genio nella lampada una volta uscito».

Il bilancio del messaggio di The Social Dilemma è qualcosa di così banale da risultare disarmante: l’attivista rasta dice: «Via dai social chiudete gli account!». Altri vi raccomandano di non usare Chrome.

Poi si fa una bella esecuzione di una pratica che di fatto è già morta: «Non accettate i cookies, per nessuna ragione». E magari non seguite soltanto gli account Twitter di quelli che la pensano come voi. Un po’ pochino, forse come soluzione.

La perla delle perle è: bisognerà trovare “un concetto condiviso di verità”. Ovvero la base della non democrazia: mettere la Verità con la V maiuscola nelle mani di un giudice imparziale, tecnologico e severo, così che se non credi a quella verità sei nel Lato oscuro della forza.

Che queste persone, provenienti da ruoli chiave dentro gli algoritmifici siano in buona fede lo si può forse anche dare per scontato, per carità. Ma l’egotismo e la prosopopea no, dai. Basta. Affermano con certezza che nessuna rivoluzione è stata ed è più pericolosa per l’equilibrio e la salute umana.

Eppure sembra proprio la classica stortura della cultura americana consumistica di sempre. Quella che nel Dopoguerra ha trasformato la popolazione mondiale in fumatori a colpi di film polpettoni pieni di sigarette ovunque. Sigarette che hanno seminato morti di tumore in quantità non comparabili con la reazione dei suicidi adolescenti  scatenati dagli unfollow.

Forse non puoi fare uscire un social dilemma se sai già che non lo vuoi risolvere.

O no?

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