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Non abbiamo bisogno di sex influencer, ma di sex rebel

30 Luglio 2020
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Su “Rivista Studio” Valeria Montebello si chiede se abbiamo davvero bisogno delle sex influencer. Mi sento indirettamente coinvolta, perché la mia presenza sul web è incentrata sulla ricerca e la condivisione di informazioni circa sessualità e pornografia. La provocazione di Montebello è legittima e ne condivido alcuni punti, ma reputo l’argomentazione così pregiudizievole da infastidirmi.

 

Dice bene, Montebello: ci sono solo (o prevalentemente) sex influencer donne. Forse non le sfiora la mente che è una sorta di rivincita di coloro che per secoli sono state silenziate. Voglio dire, tuttora non è che le donne se la passino tanto bene. Se hai una vita sessuale attiva e variegata continuano a chiamarti “puttana”, se lavori in ambito sessuale non sei presa sul serio o la gente ti riempie di domande pedanti e pruriginose, perché – a onore del vero – la sessualità resta invariabilmente un tabù. Per essere considerate alla pari degli uomini (vedi alla voce “esseri umani”) ci tocca ricorrere alle famigerate quote rosa, se esprimiamo i nostri desideri (sessuali) siamo impudiche e se lo facciamo con un linguaggio deciso e volgare siamo sfacciate.

 

D’altra parte parlare di sessualità vende e anche molto bene, il punto però non è affrontare questi temi ma farlo onestamente, cercando di cogliere le sfumature, le incongruenze, le differenze, le suggestioni.

A cosa serve l’educazione sessuale?

Sono quindi d’accordo con Montebello quando parla di una nuova norma che si è venuta a creare. Anche secondo me certe narrazioni anziché essere alternative si sono poste come “giuste” e “definitive”. Concordo quando dice che certe cose si imparano con spontaneità, facendole, ragione per cui sono molto critica rispetto a chi ipotizza l’educazione sessuale nelle scuole. Si cerca sempre di educare le altre persone prima ancora, o addirittura senza, avere educato sé stessi. Senza contare che nella sessualità non si può parlare di educazione universale, perché ogni persona è così diversa che sarebbe un sapere coercitivo, inevitabilmente normato.

Basterebbe fare seriamente biologia e prevenzione sanitaria per poi lasciare a ciascuno il piacere della scoperta e dare gli strumenti con nozioni d’uso di massima per permettere a ciascuno di apprendere come usarli (è questo il caso della pornografia, per esempio).

 

Dissento invece quando parla del corpo e di come si impara a conoscerlo, delegando in qualche modo la scoperta all’altro: «[…] l’intimità con se stessi è più potente proprio quando si ha a che fare con qualcosa che non riusciamo a capire, che magari capirà qualcun altro per te.»

Eh no.

Nessun altro può capire al posto mio cosa sento. Al massimo certe sue azioni e gesti mi faranno provare sensazioni mai provate prima, perché non mi ero mai toccata in quel punto o in quella maniera, ma non potrà capire per me, perché non è me, è lapalissiano.

O famo strano?

Montebello pare avercela con tutte quelle persone autodefinite o definite da terzi “sex influencer” per la loro esasperante schiettezza, per la mancanza di pudore e – secondo lei – per una sorta di ossessione per le cose strane.

Non so che account segua, ma il mio feed è quasi esclusivamente di sex blogger/influencer e mi pare che nessuna minimizzi o umìli coloro che prediligono una vita sessuale morigerata, a basso profilo e discreta. Proprio perché una folta schiera di persone parlano di “sex-positive”, letteralmente “sesso positivo”, che da dizionario significa «avere o promuovere un atteggiamento aperto, tollerante o progressivo nei confronti del sesso e della sessualità.»

Social: tu chiamale, se vuoi, incomprensioni

Raccontare in modo così tranchant il mondo delle sex influencer è svantaggioso per chiunque. Crea delle separazioni che trasformano un potenziale confronto in un’opposizione, mentre abbiamo fortemente bisogno di dialogo per migliorare la narrazione.

So che è un problema endemico che non riguarda solo questo ambito ma tutto il sapere umano, ed è enfatizzato dalle modalità di scambio impostate dai social:

  • rapidità (una sorta di impossibilità intrinseca dell’utenza di interiorizzare i concetti, digerirli per elaborarne di nuovi o complementari. Il dialogo sui social è infatti veloce, di pancia);
  • attrattiva (titolazioni acchiappa-click dipendenti a loro volta dalla SEO, spesso imprecise o fuorvianti ma finalizzate a essere – appunto – cliccate per generare traffico sui siti);
  • polarizzazione (l’intento di orientare il discorso in un’unica direzione, spesso con intento polemico, volto a generare uno scambio che nella maggior parte dei casi non si rivela né efficace né costruttivo).

 

Se le premesse resteranno queste (e purtroppo quello che leggo in giro non mi fa ben sperare), continueremo a leggere sempre più post e articoli dove le sex influencer (a prescindere dai modi e dai contenuti) non faranno altro che prestarsi a narrazioni poco critiche. Mentre chi si occuperà di loro continuerà a nutrire scetticismo.

Sex Influencer vs Sex Rebel

Nei prossimi anni sempre più persone parleranno di sesso pubblicamente e lo faranno in modo sempre più disinvolto, nonostante i tentativi di censurare la sessualità e la pornografia online. Gli e le adolescenti e post-adolescenti sono influenzati dai racconti di noi millennial e dalla generazione X, che abbiamo la propensione dei nostri padri a voler educare gli altri, senza mettere innanzitutto in discussione noi stessi e il nostro sapere.

Abbiamo la responsabilità di continuare a studiare, fare esperienze e lasciare spazio al dubbio per veicolare un messaggio che sia di sincera apertura mentale.

 

Non abbiamo bisogno di sex influencer, abbiamo bisogno di sex rebel.

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