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Ce l’hanno tutti con le atlete che non vogliono più stare in bikini

31 Luglio 2021
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Nelle Olimpiadi 2021 a Tokyo, che dovevano essere nel 2020, si respira aria di contrasti. Non puro e semplice spirito competitivo, ma proprio discrepanze ancora mai viste fra le istituzioni olimpiche, i comitati di accoglienza, e i singoli team di atleti. Andiamo con ordine.

Da che mondo e mondo, le Olimpiadi seguono e si affacciano su un mondo in continua evoluzione, negli usi e nei costumi. Gli sport evolvono, cambiano regole, modificano i tempi, invertono ruoli e posizioni. Naturalmente, anche le divise e i costumi degli atleti hanno subito, nel corso dei decenni, variazioni immense. Basti pensare ai costumi da bagno del 1920 e quelli attuali.

Poco prima delle Olimpiadi, un segnale premonitore

Il giorno prima della cerimonia inaugurale delle Olimpiadi, il 23 Luglio, era accaduto un fatto piuttosto isolato, ma che aveva suscitato scalpore proprio perché a ridosso dei famosissimi giochi olimpici.

La squadra femminile norvegese di pallamano in spiaggia è stata multata perché indossava degli shorts anziché i canonici slip del bikini. Durante i Campionati europei di Bulgaria, la Norvegia giocava contro la Spagna. Inizialmente la nazionale scandinava aveva rischiato la squalifica, ma la federazione ha invece deciso di imporre una sanzione di 1.500 euro per “l’abbigliamento improprio”.

Secondo il regolamento, i giocatori maschi possono scendere in campo indossando pantaloni alti almeno 10 centimetri sopra il ginocchio, mentre le giocatrici sono invece tenute a portare uno slip di larghezza massima di 10 centimetri in tutto.

Questo è sembrato così scomodo e fuori luogo, oltretutto l’azione delle atlete è stata spinta da un desiderio spontaneo, non cercava assolutamente di essere un gesto di protesta. Fin dalla prima partita la squadra aveva infatti comunicato di voler partecipare al torneo indossando indumenti più coprenti, perché forse erano stanche di lanciarsi nella sabbia bollente con un solo slip a coprire loro le parti intime.

Ad ogni modo, la richiesta era stata respinta e loro avevano giocato comunque con gli shorts comunicando al pubblico quanto la decisione della federazione fosse stata ingiusta e sessista. Tra i risvolti positivi della faccenda, si scopre che la cantante statunitense Pink pagherà loro la sanzione, dopo aver ampiamente dibattuto a lungo su Twitter circa la decisione coercitiva della federazione.

Durante le Olimpiadi esplode la novità

Il terzo giorno di giochi olimpici sembra aver segnato la traiettoria polemica di questa edizione estiva. Le ginnaste tedesche si esibiscono con una tuta lunga fino alla caviglia, al posto del tradizionale body super sgambato che le ginnaste hanno indossato dagli anni ’80 in poi.

La decisione delle atlete tedesche è stata unanime, appoggiata da allenatori e da rappresentati della federazione, dalle nuove generazioni di atleti e dai professionisti dello sport appassionati. Alle Olimpiadi la competizione, sportiva e sociale, è fortissima. Bisogna essere sorprendenti.

Il punto è, no alla sessualizzazione del corpo femminile nello sport

Il desiderio di emergere e di rompere i canoni con le tradizioni, forse un po’ strette per le realtà odierne, hanno portato la nazionale tedesca alla ribalta. Per qualche ora, la notorietà degli stessi giochi olimpici è stata offuscata dalla novità che le atlete hanno portato sulla pedana.

A chi non interessa nulla di ginnastica, questo dettaglio sembrerà irrilevante, ma per chi conosce il mondo assolutamente edulcorato della ginnastica artistica, sa che è un granello in grado di diventare valanga.

Le parole della federazione tedesca

La federazione tedesca smorza immediatamente i toni. Prima che i recalcitranti dell’innovazione e i tradizionalisti un po’ bigotti abbiano la possibilità di sputare la loro sentenza, le istituzioni sportive tedesche intervengono con un commento molto neutro: «L’obiettivo è presentarsi esteticamente senza sentirsi a disagio».

Una frase che, di per sé, vuol dire tutto e niente. Ma è comunque meglio del silenzio, e pone fine alla boriosa questione scomoda dei costumi che si spostano, si slacciano, si rompono durante le esibizioni. Fino a qui, centinaia di occasioni hanno fatto sentire le atlete in imbarazzo a causa di un malfunzionamento del body. Body che, naturalmente, si rompeva sempre nel punto più delicato.

Qualche considerazione importante sui costumi di gara

Da sempre, i costumi e i body delle atlete sono fatti per essere colorati e traspiranti.  Non ci vuole però uno stilista per accorgersi che i costumi delle corridore sono comodi, quello delle ginnaste no. Quelli delle nuotatrici sono abbastanza sobri, quello delle ginnaste sono così sgambati da mostrare anche una ceretta mal fatta.

La verità è che consideriamo la sessualizzazione del corpo un concetto così organico alla tonicità di un individuo da aver immediatamente inserito professioni atletiche nella categoria del “nudo è meglio”.

Chi muove le fila di questo ragionamento sono i giudici e i tradizionalisti che vedono nei costumini striminziti la possibilità di valutare la posizione del corpo in modo molto più preciso rispetto ai costumi interi. Che comunque sono attillatissimi e lasciano davvero poco all’immaginazione.

Dalla loro, le atlete si sono stancate. Oltretutto, sistemarsi il body durante un’esecuzione comporta una penalità. Quindi, per come stavano le cose, una ginnasta a cui si slacciava il body doveva continuare l’esecuzione senza poterlo sistemare.
The show must go on. Eh no, The show must go on solo se c’è il confort.

Ve la ricordate questa scena di Stick it? Il film sulla ginnasta ribelle? Quando a causa di una spallina del reggiseno di fuori inizia una rivoluzione? Anche se naturalmente qui viene edulcorato dalla filosofia cinematografica, il concetto è ben chiaro: dovrebbero essere le atlete a scegliere il loro costume di gara. Riassume bene il nostro pensiero.

 

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