Comunicare attraverso l’abbigliamento: liberi non vuol dire sciatti. Il dilemma del glitter berlinese

18 Aprile 2018
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Venerdì scorso il mio coinquilino mi ha invitata ad andare con lui ed i suoi amici in un club. Una volta entrati, prima di lasciare giubbotti e borse, una delle ragazze ha preso un tubetto di glitter e ha iniziato a cospargersi braccia e guance con brillantini colorati che risplendevano sotto il sole allo zenit – era da poco passato mezzogiorno e non c’è da stupirsi: qui a Berlino non c’è orario per andare a ballare. Mi ha stupito di più un altro fatto: a Milano avevo disimparato a comunicare attraverso l’abbigliamento.

 

Lo stesso gesto del glitter l’hanno fatto l’altra ragazza, con i capelli raccolti in due codini già cosparsi di cristallini verdi e dorati, e il mio coinquilino, che ha scelto di rendere sfavillante la sua folta e lunga barba scura. Naturalmente hanno poi offerto anche a me la possibilità di splendere un po’ ed è proprio in questo momento che si è verificato l’impensabile: “No, grazie”. NO? NO, GRAZIE? Tutto bene? Anna Giulia sei tu? Che ti è preso?

L’allegra e scintillante combriccola ha ripetuto l’invito un paio di volte, senza però insistere troppo, per apparire invasiva nei confronti della piccola nuova arrivata. Tanto io non li sentivo già più: ero come sprofondata in uno stato di trance, ero completamente sotto shock, in preda ad una crisi identitaria ed esistenziale. No, grazie. Nella mia testa rimbombavano quelle due gigantesche parole, che poco prima avevo sentito pronunciare, con tono sicuro e gentile, dalla mia stessa voce. Chi era stato a comandarle? Chi le aveva scelte, organizzate e inviate alle corde vocali? La risposta è apparsa nella mia mente più velocemente di quanto potreste immaginare: quello stronzo del mio inconscio senza palle che a lungo andare finisce sempre per lasciarsi influenzare.

Cosa dice? Sta blaterando! È ancora sotto shock, in stato di delirio! Sono lucidissima, invece, quindi lasciate che vi spieghi di cosa sto parlando. Sto parlando di come comunicare attraverso l’abbigliamento e l’aspetto esteriore. Mi era già capitato, in passato, di fare uso di brillantini: tra i capelli, come ombretto, sulle guance, su un paio di calze a rete larga – sì, i glitter hanno più applicazioni di quante pensiate. In realtà avevo provato a farne uso, ma puntualmente ero stata ammonita dalle mie amiche e conoscenze di paese. Il più delle volte ero stata costretta a salutarli prima di uscire. Trasferendomi a Milano, la grande città, pensavo che qualcosa sarebbe cambiato, ma sinceramente mi sbagliavo. Insomma, in questi ultimi anni della mia vita ho collezionato “Vatti a cambiare che con noi così non esci”, “Ma cosa ti sei messa” e sguardi di disapprovazione, che evidentemente a lungo andare hanno finito per riuscire ad influenzare una parte del mio inconscio. Proprio quella parte che deve aver meccanicamente risposto a posto mio: “No, grazie”. Inorridisco al solo pensiero che questa parte di me abbia preso, negli ultimi tempi, altre decisioni in piena autonomia, senza che me ne accorgessi. Mi intristisce l’idea che il mio modo di comunicare attraverso l’abbigliamento o la capigliatura sia silenziosamente e involontariamente sbiadito, appiattito sotto la pressione del buon costume imposto dalla società.

 

Perché oggi giorno il Io voglio sentirmi libera di vestirmi come credo! viene rivendicato solo da chi, uscendo in tuta e senza trucco, non si sente bene con se stessa e decide di incolpare la società che non la accetta e le riserva occhiatacce.

C’è poi anche chi si sente incredibilmente in difetto nei confronti del mondo fashion, sa di non avere un gran gusto, rivolge sguardi d’invidia morbosa a chi riesce ad accostare con decenza un paio di capi da mettersi addosso e ancora una volta incolpa la società di imporre standard troppo alti. Povere stelle incomprese! Ma liberi non vuol dire sciatti.

La verità è che nessuno parla dell’altro lato della medaglia. Nessuno parla della vera pressione che la società esercita continuamente su chi abbina la propria immagine alla propria persona, chi usa anche i vestiti o il colore dei capelli come mezzo d’espressione, di chi semplicemente fa quello che vuole e che gli passa per la testa, ma pecca nel non volere quello che vogliono i più.

Vuoi comunicare attraverso l’abbigliamento e il trucco? Accomodati pure. Ti metti un po’ di glitter e via con i commenti: vuoi solo apparire, vuoi fare l’alternativo, vuoi farti notare, vuoi fare credere di essere diverso, vuoi fare l’artista. Ma a me piacciono i capelli azzurri a treccine invece che biondi a caschetto, piace quel top scollato sulla schiena, quel costume intero nero con le paillettes, piacciono quegli scarponi vintage, quegli occhialetti piccoli esagonali, quei collant viola. A me piacciono i glitter. Glitter tra i capelli, glitter tra i tatuaggi, glitter tra vestiti, glitter tra la barba. A me piacciono i glitter e se tu ti senti incredibilmente triste e miserabile nel vedermi così sbrilluccicante, mi dispiace, ma non posso farci niente.

 

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