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Under 25 sotto attacco: comprano fast-fashion e non sanno i danni ambientali che produce

26 Agosto 2022
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Le catene di moda ultra veloce battono persino l’insostenibilità ambientale di H&M e Zara: Shein è il colosso ultra fast-fashion che attira giovani squattrinati con abiti a prezzi stracciati baipassando a piè pari l’emergenza ambientale.

L’abbigliamento usa e getta tocca vette altissime con marchi come Shein e Boohoo, particolarmente popolari tra gli under 25. Alcuni di loro creano un vero e proprio business sul fast-fashion all’ennesima potenza, ordinando vestiti economici online e registrando video di prova, i cosiddetti try on haul, da pubblicare sui social come veri influencer.

Verso il fast-fashion e oltre

La “moda ultra-veloce” ha conquistato la genZ che deve inevitabilmente fare i conti con le tasche vuote. I vestiti economici venduti online sono una manna dal cielo considerato il panorama economico attuale e all’inflazione in aumento.

La ditta più conosciuta è sicuramente la cinese Shein, seguita a ruota Boohoo, la casa di moda britannica, e da Emmiol, di Hong Kong. I tre colossi condividono un modello di business ben preciso, basato sulla rapida produzione di articoli a prezzi stracciati.

#Shein: il fenomeno social

I già citati video “haul”, dove ragazzi e ragazze provano gli abiti e li recensiscono, sono la prima fonte di pubblicità delle catene ultra fast-fashion. Per fare un esempio: solo su TikTok possiamo trovare intorno ai 35 miliardi di menzioni dell’hashtag #SHEIN.

L’asso nella manica? Vasta scelta per le taglie forti. Pare che le aziende di moda ultraveloce non abbiano rivali in quanto a body positivity e inclusività, tematiche che, ora più che mai, spopolano sui social network.

The dark side of fast-fashion

Quante volte ci è capitato di vedere fotografie di montagne di vestiti scadenti che abbandonati nelle discariche, gettati nei corsi d’acqua o bruciati all’aria aperta?

Ecco alcuni dati che dovrebbero aprirci gli occhi sulle conseguenze, ambientali e non, dell’ultra fast-fashion:

  • Secondo Green Peace occorrono 2.700 litri di acqua per realizzare una maglietta che viene rapidamente buttata via;
  • L’Agenzia francese per la transizione ecologica stima che il fast-fashion rappresenti più del 2% delle emissioni globali di gas serra all’anno;
  • L’ONG svizzera Public Eye ha recentemente scoperto che i dipendenti di alcuni stabilimenti cinesi di Shein lavoravano fino a 75 ore settimanali, mentre Boohoo sfruttava e sottopagava i lavoratori in Pakistan.

Ciononostante, la domanda di capi fast e cheap aumenta a dismisura, complici l’abbassamento del reddito medio e l’aumento dei tassi di inflazione degli ultimi anni.

Non a caso Shein ha generato 16 miliardi di dollari di vendite nello scorso anno, mentre ci rendiamo sempre più conto che le aziende ultra fast sono destinate a primeggiare ancora per qualche tempo a discapito delle produzioni artigianali e slow che, colpite dalla pandemia, faticano a portare avanti i propri business.

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