Il successo dei market (di moda) indipendenti è forse la più bella notizia degli ultimi tempi e parlane è sempre più urgente.
Che l’onda del Fast Fashion stia contribuendo in maniera consistente alla rovina del pianeta è un fatto di cui si discute da diverso tempo. Andrebbe segnato su post-it o sulle note del telefono, ripetuto come un mantra, tatuato sotto pelle. Andrebbe ripetuto a voce alta quando entrando da H&M, Zara o facendo shopping compulsivo su Shein vi capiterà di acquistare una maglietta a meno di 5 euro. Costa davvero poco? A noi sì, quasi nulla. Al pianeta? Assolutamente no, per ogni nostro “aggiungi al carrello” la Terra paga un prezzo altissimo.
Da oltreoceano arriva però una soluzione, piacerà meno al portafogli, ma porta con sé una serie di vantaggi indiscutibili: i market indipendenti – che bada bene non sono propriamente i nostri mercatini vintage – stanno creando una moda originale e sostenibile, dove le parole d’ordine sono “riuso” e “osare”.
Capiamo l’impatto della moda sull’ambiente
Prima di immergerci nell’universo dei market capiamo insieme quali sono le conseguenze della moda usa e getta. Come spiega la rivista Focus, a partire dagli Anni 70 la produzione di abiti ready-to-wear è aumentata di pari passo con la crescita della popolazione e l’imposizione del sistema capitalistico. È però solo a partire dall’ultimo decennio che l’industria ha visto un’accelerazione senza precedenti. La moda fast cresce ogni anno del 2%, nel 2018 si è arrivati a produrre una media di 13kg di vestiti pro capite.
L’ambiente non ringrazia. L’industria della moda è responsabile della produzione del 10% delle emissioni globali, questo significa che ogni anno vengono rilasciate nell’atmosfera dalle 4 ai 5 milioni di tonnellate di CO2. Il fast fashion contribuisce per il 20% alla contaminazione industriale dell’acqua, e all’inquinamento degli oceani (i nostri vestiti riversano nei mari un terzo delle microplastiche totali). Citiamo infine i rifiuti: oltre 92.000 tonnellate annue di scarti tessili, tra cui bisogna contare anche i anche i capi di abbigliamento rimasti invenduti.
Ecco perché cambiare stile, nel vero senso della parola, è oggi più che mai una necessità. Ancora una volta bastano pochi piccoli accorgimenti, e spesso si trovano dietro l’angolo.
Come funziona il concept dei market indipendenti
Gli influencer e gli amanti del fashion Los Angeles based hanno iniziato a sentire la necessità crescente di modificare le proprie abitudini, considerando che shopping e negozi di abbigliamento costituiscono un appuntamento fisso per il fine settimana. La rinascita dell’abbigliamento vintage (grazie anche a piattaforme come Depop e alla creatività dei millennial) ha portato in auge i mercati e i mercatini delle pulci.
La sempre maggiore prevalenza dell’abbigliamento vintage, in coincidenza con la richiesta di rompere il sistema prendi-produci-rifiuti dell’industria della moda, ha portato gli acquirenti a visitare market e luoghi spesso sconosciuti. La varietà dell’offerta è davvero impressionante, su vecchi cassettoni di legno e grucce semi arrugginite si possono trovare capi adatti a tutti gli stili: bohemian, old school o minimal. Designer e stilisti emergenti recuperano vestiti usati e li ricamano. Tagliano e cucino in modo originale, creando pezzi unici.
A Silverlake si può trovare lo stand di Michael, 24 anni, che arriva dalla costa Est dell’America per diffondere la sua visione della moda: vendere capi d’abbigliamento che durino nel tempo. “Voglio qualcosa che potrò indossare ancora quando avrò 40 o 50 anni – spiega – meglio preferire la qualità alla quantità”. Altrimenti come faranno i nostri figli a rubarci i vestiti dall’armadio se li avremo prima buttati nelle discariche?