“Lavora duro, riposa duro”. Come vivere una slow-life: l’intervista a Luigi Nigro
Work hard, play hard è il motto che accompagna da una vita le giovani generazioni. Ma siamo certi che una vita all’insegna delle FOMO lavorativa sia un bene per la nostra salute mentale? Forse dovremmo avvicinarci alla Slow Life. Intervista a Luigi Nigro
La mitizzazione del sacrificio è il leitmotiv tossico della vita lavorativa di ogni millennial e GenZ. Ma il burn-out è dietro l’angolo e le Grandi Dimissioni sono ormai una realtà. Come dovrebbero cambiare le nostre priorità per raggiungere un work-life balance degno di essere chiamato tale?
Parliamo oggi con Luigi Nigro, giovane content creator e professionista del digitale che ha deciso di dedicarsi a diffondere, attraverso la comunicazione social con il suo profilo instagram @gigienne, la filosofia della Slow Life applicata al mondo del lavoro, con l’obiettivo di scardinare i falsi miti in cui tutti siamo immersi.
Parlaci un po’ di te. Di cosa ti occupi attualmente e qual è stato il tuo percorso in breve?
Sono un Web Designer e un consulente di Digital Marketing. Gestisco un ecosistema di prodotti e servizi digitali che al momento hanno servito oltre 1500 clienti in tutta Italia. Subito dopo la laurea in Marketing ho ricoperto la carica di Marketing Manager per una startup in accelerazione presso LVenture Group, il fondo di venture capital più attivo d’Europa. Ho collaborato con aziende come Alleanza Assicurazioni, Flowe, Hoepli e ho tenuto lezioni universitarie sul Digital Marketing per la Luiss Business School di Milano e per H-Farm.
Quali pensi siano le cause principali delle grandi dimissioni? Che ruolo pensi abbia avuto la pandemia in questo fenomeno e nell’aumento di stress e burn-out tra i lavoratori?
Lo scontro di valori generazionali. Attualmente la classe dirigente è formata da persone che sono nate e vissute dopo gli anni del boom e che hanno una certa concezione del lavoro, influenzata dalla propaganda industriale che include, tra le varie trappole, anche il concetto di “etica del lavoro” oppure di “fare carriera”, per intenderci. Noi giovani abbiamo studiato più di loro e abbiamo avuto la possibilità di entrare in contatto con culture differenti grazie alla globalizzazione. Ma tutto quello che è derivato dalla nostra formazione e dalle nostre esperienze non poteva essere processato, perché la nostra cultura del lavoro ci impone di non fermarci mai. “Chi si ferma è perduto” dicono. Invece no, chi si ferma ha il tempo di riflettere. Così ci siamo ritrovati in una condizione di stop forzato a causa della pandemia e molti giovani hanno avuto il tempo di pensare a cosa realmente stavano facendo e in che direzione stavano andando. A molti non è piaciuto quello che il pilota automatico della società aveva in serbo per loro, così hanno deciso di prendere in mano la propria vita e decidere in base ai propri valori – e non in base alle aspettative di altri- cosa farne. Ecco, secondo me, il fenomeno delle Grandi Dimissioni.
Hai vissuto in prima persona l’esperienza del burn-out?
Sì, non avevo spazi liberi in agenda, nemmeno per andare in bagno. Tendevo a riempire ogni slot con cose da fare, corsi da studiare, nuovi progetti da lanciare, perché mi sentivo indietro (rispetto a cosa?) e provavo FOMO. Sai, la carriera, il duro lavoro, i sacrifici: sono queste le cose che ti portano lontano. Tutto sbagliato! L’ossessione per questa roba ti porta al burn-out. Per fortuna è bastata una sola volta per farmi comprendere che non avrei mai voluto trovarmi in una condizione del genere. La mia salute è un asset e come tale va protetto. Il mio motto è diventato da allora “Lavora duro, riposa duro”.
Pensi che l’ansia da prestazione e l’idea di sacrificio siano legati anche a una questione generazionale? Ci sono differenze tra i giovani lavoratori di oggi e i nostri genitori o i nostri nonni?
Certo, siamo cresciuti in due contesti socioeconomici completamente differenti. A loro bastava un lavoro normale per permettersi una vita normale, a noi un lavoro normale garantisce una vita mediocre. Il costo della vita si è alzato parecchio, l’inflazione galoppa, la produttività in Italia è scarsissima e gli stipendi sono rimasti gli stessi da 30 anni. Per i nostri nonni o genitori “fare sacrifici” (intesi come accettare una condizione vessante oggi per avere di meglio domani) aveva senso, perché gli avrebbero garantito una bella vita. A noi non conviene, perché le prospettive sono in discesa, non in salita. C’è da dire, però, che siamo stati educati allo stesso modello di sacrificio che hanno seguito loro, ma che oggi si rivela obsoleto e senza senso, una condanna alla sofferenza perenne senza possibilità di redenzione. Occorre rivedere il concetto di sacrificio fine a sé stesso e sostituirlo con il concetto di sacrificio sano e sensato. Ne ho parlato spesso sul mio profilo Instagram, è una cosa importantissima che ha fatto soffrire me e fa soffrire milioni di giovani che non hanno ancora preso consapevolezza riguardo al tema.
Come si fa a non avere paura di perdere il lavoro?
Creando opzioni: vale nel lavoro come nella vita privata. Avere opzioni e alternative garantisce immunità alla FOMO. Le persone hanno paura di perdere lavoro perché credono (e gli è stato fatto credere) di non avere altre alternative. Siamo cresciuti col mito di “ringrazia per questo lavoro, perché lì fuori non c’è più niente”. Ma questo motto fa parte di una propaganda lavorista che ha contribuito alla proliferazione della manodopera a basso costo. Se una persona, anche dopo aver trovato lavoro, continua a formarsi, a fare networking, a tenersi aggiornata e a sviluppare nuove skills, non potrà avere paura di perdere il lavoro perché, se questo dovesse accadere, basterebbero pochi mesi per trovarne un altro, forse migliore. Oggi ben pochi ragionano secondo questa logica, ma si tende a pensare “trovato questo lavoro, sto apposto a vita”, una ragionamento plausibile negli anni ‘70. Oggi la società è fluida e pensarla così è pericoloso, ma siccome siamo stati educati ed allevati da chi ha vissuto quegli anni, ci portiamo dietro come zavorre certe credenze. Questo atteggiamento di sottomissione scaturito dalla paura contribuisce a rovinare il mercato di lavoro che oggi in Italia gioca al ribasso.
Quando hai deciso di aprire una pagina social per veicolare i tuoi contenuti e le tue idee? In quale modo pensi che i social media possano aiutare a sensibilizzare su questi temi?
Ho iniziato a comunicare online nel 2019, mentre stavo provando a tirarmi fuori dalla palude di convinzioni sul lavoro che mi avevano rovinato la vita fino a quel momento. Aver avuto il coraggio di metterle in dubbio e aver avuto la sensibilità di ascoltare e comprendere i motivi per cui stavo soffrendo quelle condizioni mi ha aiutato a uscirne. Pubblico contenuti online perché, purtroppo, tante persone non si ascoltano e accettano di soffrire perché gli è stato insegnato così. La vita è bella, la condizione umana standard è il relax, ,mentre la sofferenza è un’alterazione di quello stato di calma che garantisce il buon umore. Lo stress ci parla: “tu non stai bene in quella situazione, devi rigettarla e non accettarla”. L’atteggiamento passivo rovina la vita delle persone e io comunico sui social per dare ai giovani come me una visione alternativa e più sana di tutto quello che riguarda il lavoro e la gestione dell’equilibrio della propria vita privata.
Qual è il tuo consiglio principale per evitare stress e burn-out? Hai una tua routine oppure qualche tip and trick?
Non esistono tips and tricks. La condizione di relax si raggiunge lavorando su sé stessi e sul proprio stile di vita. Creare opzioni è il consiglio che posso dare, ma non è né un tip né un trick. Ci vogliono anni di lavoro per creare opzioni che possano far smettere di subire la FOMO. Non crediate che possano bastare dei trucchetti per scardinare modelli sbagliati che abbiamo tenuto in testa per tutta la nostra vita.
(Anche se forse un trucchetto c’è: seguite gigienne su Instagram ? )
Ci consigli tre libri che possano aiutare i nostri lettori a vivere una vita più slow?
Essentialism di Greg McKeown, La sottile arte di fare quello che ti pare di Mark Manson e Pensieri di Marco Aurelio. L’ultimo libro vi introduce alla filosofia stoica, una disciplina che vi aiuterà a conoscervi meglio e ad avere il controllo dei vostri pensieri. Condizione fondamentale per smettere di subire la FOMO.
Come ti vedi tra dieci anni?
Con 10 anni di vita in meno, più vicino alla morte e quindi ancora più selettivo nei confronti di cose che non ho voglia di fare.
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