Prima o poi tutti dobbiamo morire. Sia che siamo egomaniaci con desideri di immortalità come Elon Musk o semplici abitanti di questo pianeta, è un destino che tocca a tutti.
Ma nell’era dell’immortalità digitale, come fare? Mentre parenti più o meno presunti si spartiscono i nostri averi, al netto della scure del Fisco, cosa si fa con i social? Può sembrare un argomento di scarso interesse (in fondo, noi saremo morti) o di poca importanza, ma la questione è più delicata di quanto non sembri e non tutte le piattaforme social sono attrezzate come dovrebbero.
La situazione in Italia: la successione digitale
Chiariamo subito un punto: il nostro Paese è stranamente indietro su una legislazione specifica in questo campo. Il nostro attuale sistema giuridico non contempla, infatti, il fenomeno della successione digitale mortis causa. I beni digitali possono essere inclusi nel testamento, ma la loro particolare natura nasconde parecchie insidie.
Basti pensare che, per quanto riguarda un account social, non parliamo tecnicamente di beni digitali, ma di un sistema di riconoscimento che permette all’utente di accedere a un servizio, implicando quindi una relazione contrattuale tra questo e il fornitore (che però rimane il proprietario del servizio). Legalese a parte (qui un interessante articolo sull’argomento), la questione è spinosa, anche perché implica la tutela dei dati personali e il famigerato GDPR. A proposito, il regolamento europeo non si estende ai defunti, ma lascia ai singoli Stati la facoltà di legiferare in merito. L’Italia ha scelto la via breve e ha deciso di estendere i principi del GDPR anche ai defunti, quindi non lamentiamoci del garante che blocca ChatGPT, pensate quando sarete nella fossa e ve lo troverete lì…
Ma come possiamo muoverci noi poveri utenti ancora in vita? Le piattaforme mettono a disposizione diversi strumenti per sistemare le cose.
Come si muove quello che ancora oggi è il principale social network? Già nell’ottobre del 2009 Facebook aveva introdotto le cosiddette “pagine commemorative”, a causa delle richieste di molti utenti a seguito della sparatoria del Virginia Tech di due anni prima. In quell’occasione, portando come prova il certificato di morte, gli account delle vittime erano stati convertiti in pagine tributo con il minimo di dettagli personali. Ma è dal 2015 che lo strumento ha acquisito la fisionomia attuale. Facebook ha aperto alla nomina di un amico o familiare come “contatto legacy”, ovvero con il diritto di gestire il profilo del deceduto. Oltre a questo, Facebook ha introdotto la possibilità di eliminare definitivamente il profilo dopo la morte (cosa che prima era del tutto esclusa).
Ma se questo non viene fatto? Allora sono problemi, per dirla breve, perché Meta non consente, a livello di regolamentazione, l’accesso all’account di un utente senza il possesso delle credenziali, nemmeno se morto. Nel caso il deceduto sia stato previdente in vita, invece, l’account commemorativo permette una gestione, seppur minima, del profilo. Foto e post condivisi rimangono a disposizione del pubblico, ma i profili commemorativi (che riportano la dicitura “in memoria di” accanto al nome) non vengono visualizzati negli spazi pubblici come i suggerimenti, le inserzioni o i compleanni. Ancora, un account commemorativo può accettare richieste di amicizia (ma non chiederla), fissare un post in alto e modificare foto di profilo e immagine di copertina. Non ha però un accesso completo alle funzionalità di un account classico e non può nemmeno leggere i messaggi privati o rimuovere gli amici esistenti.
Naturalmente, in caso il deceduto, in vita, abbia optato per la cancellazione definitiva dell’account, questo verrà automaticamente eliminato da Facebook non appena si riceverà la comunicazione del decesso, assieme a tutti i contenuti correlati. Questa procedura può, ovviamente, essere effettuata anche dall’erede dell’account.
La seconda creatura di Mark Zuckerberg segue regole simili alla sorella maggiore, ma con qualche eccezione. Non esiste la possibilità di nominare un “erede digitale”, ma l’account verrà automaticamente trasformato in commemorativo e senza possibilità di gestione da parte di terzi, salvo da Instagram stesso. Come diventa tale? Inviando a Instagram documentazione del decesso, come un necrologio sul giornale (quindi occhio agli scherzi degli amici).
L’account commemorativo non potrà in alcun modo essere modificato e rimarrà a perenne monito con stories, immagini e reels. C’è però la possibilità di eliminarlo in maniera definitiva, su richiesta degli eredi, producendo apposita documentazione di nascita e morte e documenti attestanti la legale rappresentanza (in questo caso Instagram è più serio).
Cosa succede sull’uccellino cinguettante del buon Elon? Nell’attesa che il nostro eroe modifichi a sua immagine e somiglianza anche le regole precedenti la sua acquisizione, la situazione è questa. Non ci sono norme “pre dipartita”; in caso di decesso, una persona autorizzata può richiedere la rimozione definitiva dell’account da parte di Twitter. Producendo apposita documentazione che attesti la parentela stretta o l’autorizzazione ad agire per conto del defunto, Twitter procederà alla rimozione.
Interessante il fatto che la medesima procedura si possa applicare anche in caso di utente dichiarato “incapace” per problemi di salute o altre motivazioni.
TikTok
È il social più sbrigativo e meno attrezzato, al momento, forse perché intercetta l’utenza più giovane. Non sono previsti strumenti appositi, ma in caso di decesso di un parente si può contattare TikTok via mail all’indirizzo feedback@tiktok.com (non ridete) per ricevere istruzioni su come rimuovere l’account, previa presentazione di documentazione. La procedura appare piuttosto nebulosa, in puro stile cinese, quindi quando morirò vi farò sapere meglio.