BeReal spiegato a chi è fermo agli influencer degli anni Dieci
Un social francese sta proponendo con successo una rivoluzione: BeReal impone la verità a tutti, brand inclusi. Ma non pensate di cavarvela mostrando assorbenti e peli superflui. La GenZ chiede verità, non squallore.
No, grazie, lei non è abbastanza real. Tenete a mente questa risposta, perché è quella che a breve potrebbe terrorizzare chi ha investito molti soldi nell’influencer marketing. Ovvero influencer, creator, brand. Insomma un po’ tutti.
Se oggi le tendenze esplodono e svaniscono a una velocità cinque volte superiore rispetto a 20 anni fa, le paturnie generazionali non fanno eccezione. Ed ecco (dubitavate?) le ricadute sull’economia reale (e l’aggettivo ha molto senso).
Che cos’è BeReal
Piccola sintesi didascalica per chi non lo sapesse: Bereal è un social, ma diverso da “loro”, direbbero i Maneskin, laddove “loro” sta per i social tradizionali, Instagram in testa. Vi iscrivete e da quel momento, tutti i giorni il social si comporta con voi un po’ da Rehab, un po’ da macchina della verità. Una notifica push vi intima che è il momento di essere veri: nessuna concessione a filtri, postproduzioni, pose farlocche. Niente Truman Show: le vite perfette non esistono e i post che affermano il contrario saranno sgamati. Se si tratta di brand, BeReal celebra la fine delle promesse ingannevoli.
La call to action arriva una volta al giorno, alla stessa ora a tutti gli utenti a seconda del fuso orario. Avrete due minuti per scattare una foto con la camera esterna e subito dopo con quella interna.
Lo scatto non produce like, cuoricini, applausi e altre leccate gratuite. Su Bereal comandano i RealMojis, selfie che imitano gli emoji.
Ma l’algoritmo, rispecchia una certa severità tipica della Generazione Z, quella che sta decretando il successo di BeReal: no deciso ai lurker (quelli che si limitano solo a guardare senza partecipare) dato che l’unico modo per visualizzare i contenuti della community è pubblicare il proprio post giornaliero.
BeReal è questo: il ribaltamento di ogni dinamica tipica dei social, e il suo scopo è demolire i miti fittizi cresciuti sulle piattaforme nell’ultimo decennio. Soprattutto quegli account che scimmiottano immagini da copertina e infarciscono i feed con action movie da divano.
Ecco ciò che accade in un social media scenario saturo
Le generazioni più giovani stanno sperimentando con una certa noia il mondo palesemente falsato dei social più diffusi. E ora, stando agli studi ma anche al successo di BeReal, sarebbero in cerca di uno spazio nuovo, più accogliente, che metta d’accordo l’abitudine alla relazione digitale con un elemento a cui i social non li hanno mai abituati: la verità.
A ben guardare ciò che accade era ampiamente prevedibile: il successo degli influencer è stato a sua volta rivoluzionario per gli aspetti che riguardano la verità. Chiara Ferragni ha vinto sul sistema moda perché ha fatto irruzione in un mondo patinato proponendosi come una ragazza normale. Quello che è accaduto dopo, ovvero l’industrializzazione e la produzione seriale di contenuti ingaggianti perché “vicini” c’entra poco con l’idea iniziale della giovane cremonese. La nuova Ferragni che vincerà su BeReal, stando alle cronache dovrà dimenticare qualsiasi forma di estetizzazione, su se stessa e soprattutto sui propri contenuti.
Il gruppo Meta vive dai tempi di Cambridge Analytica la fine della sua parabola di Love Brand, e questo vale soprattutto per Facebook. Ma il vero dramma è che la sua proposta pubblicitaria rende ormai pochissimo a chi investe. E i brand si chiedono che fare. BeReal ha appena superato Tik Tok nei download (7,5milioni) in America e comincia a fare gola.
La reazione dei brand
La faccenda della verità non è nuova, da tempo la GenZ usa i social per ribadire che se si depila le ascelle non lo fa perché qualcuno glielo impone. Le aziende rispondono seguendo la tendenza in modo paraculo, e perfino il ciclo mestruale diventa oggetto di close up televisivi. Ma questo potrebbe non bastare. Se si guarda al caso di studio più interessante del momento, si capisce quanto l’effetto Bereal potrebbe impattare sulla filiera produttiva pubblicitaria.
Una catena di ristoranti di cucina messicana, Chipotle, ha scelto BeReal sposando il trend dell’autenticità dei contenuti. Il driver principale è la trasparenza nei confronti dei suoi consumatori. E così ha postato una foto che ritrae un dipendente di Chipotle a Times Square: promuove la campagna Buy the dip. Eat the dip. Ovvero: compra la salsa, mangia la salsa. Una “creatività” così primitiva, da passare un colpo di spugna su tutto il decennio d’oro della pubblicità, ovvero gli anni 80.
È questo che ci dobbiamo aspettare? Sì se non comprendiamo che creatività non può più essere sinonimo di immagine estetizzante.
Bereal e la spasmodica ricerca di una nuova creatività
Non si tratta di annullare la la creatività, quindi. Si tratta di togliere gli schemi vecchi di trent’anni e sostituirli con una spontaneità allineata alla GenZ. Una chiave creativa nuova dovrebbe trarre spunto più dai video senza filtri di Tik tok che dal contenuto classico di Instagram. E usare l’unico ingrediente possibile: l’ironia. Identificarsi in un dipendente di Chipotle potrà anche essere ingaggiante nel momento in cui uno si trova davanti al ristorante e scopre che avrà uno sconto sul taco. Ma non potrà andare oltre. Non diventerà memorabile.
Il tragico disallineamento con l’ironia dei GenZer
Comprendere le keyword per accedere all’ironia che piace alla GenZ invece può essere davvero la svolta. E qui però, a spiegarci che la missione è difficile arriva il gap generazionale e l’ampia presa per i fondelli dei boomer. Stringi stringi, all’origine degli sfottò c’è la tragica scoperta dei meme da parte dei cinquanta-sessantenni: ridiamo di gag che non fanno ridere i più giovani e non ridiamo di ciò che li diverte di più. Prediligere la verità non vuol dire certo infarcire gli spot di assorbenti sporchi o costringere il cassiere di un fast food a dire che un hamburger è sano e nutriente. Così si rischia la presa per il culo di quella generazione. Che è ben peggio che farla annoiare.
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