Certamente parlando di Metaverso ci riferiamo a mondi virtuali, ma non è sempre vero il contrario. Infatti, la situazione attuale sembra rispecchiare proprio quest’ultimo caso. L’Osservatorio Realtà Aumentata e Metaverso della School of Management del Politecnico di Milano ha condotto un vasto studio per cercare di fare un po’ di chiarezza. La ricerca completa verrà presentata il prossimo 20 aprile, ma è già stata anticipata dall’analisi dell’Osservatorio milanese. E si parla di cifre importanti: 308 progetti internazionali, realizzati da 220 aziende a livello globale. Progetti diretti verso 141 mondi virtuali, ognuno con caratteristiche, utenze, regole e funzionalità differenti.
Differenti, ma non connessi: questo è il problema. Vediamo perché.
I TIPI DI MONDI VIRTUALI
Il Metaverso è (o sarà) costituito da mondi virtuali interconnessi e interoperabili tra di loro. Non si tratta quindi di mera realtà virtuale immersiva, ma di un ecosistema transazionale e modulabile, che consenta e agevoli lo spostamento tra i vari mondi e le esperienze virtuali annesse. Anche se questa definizione sembra piuttosto scontata, la realtà viaggia su un altro binario. Secondo i risultati dell’analisi, solo 62 mondi virtuali su 141 (il 44% del totale) sono considerabili Metaverse Ready. Ovvero: funzionanti indipendentemente dalla presenza o meno di un soggetto, economicamente attivi, dotati di grafica 3D e con componenti di interoperabilità che permetterebbero di utilizzare gli asset digitali su diverse piattaforme.
Un esempio di questi mondi già “a buon punto” sono Decentraland e The Sandbox. Il primo è una piattaforma basata su Ethereum e fondata nel 2017. Non ha un sistema di controllo decisionale centralizzato e con il MANA (token che rappresenta la moneta virtuale della piattaforma) si possono acquisire LAND, lotti virtuali (token a loro volta, ma NFT). Anche The Sandbox si basa su Ethereum, ma qui l’attenzione è spostata sulla possibilità, per i creator, di realizzare e monetizzare oggetti e giochi, usando ovviamente la blockchain.
Passando a un’altra tipologia di mondi individuati dallo studio, il 33% è considerabile invece open world. Si tratta di ambienti immersivi che raccolgono progetti appartenenti ad ogni area di interesse (sia imprese che attività sociali), ma senza supportarne l’interoperabilità.
E proprio il Metaverso del buon Mark, Horizon Worlds, appartiene a questa categoria. Ebbene sì, il Metaverso primigenio non è un vero Metaverso! Il motivo? La piattaforma di Meta non supporta gli NFT (questi maledetti), ma nel giorno in cui lo farà potrà rientrare nella categoria superiore. Ma cosa si fa in Horizon World? Per prima cosa si paga, ovvero si deve acquistare uno dei visori di Meta. È poi possibile accedere a Horizon Home, punto di partenza verso i vari mondi virtuali. Da qui si può entrare in Horizon Venues, l’applicazione che raggruppa gli eventi live, Horizon Worksroom, ovviamente dedicata al mondo business e Horizon Worlds, la parte più “social”, dove è possibile intrattenersi con gli altri utenti, costruire mondi virtuali e monetizzare le proprie creazioni.
La penultima categoria, che raccoglie il 19% dei mondi virtuali, è quella dei focused world. Si tratta di aree settoriali focalizzate su particolari zone di interesse, come ad esempio Microsoft Mesh e Fortnite.
Microsoft Mesh, meta progetto di punta del colosso di Redmond, è una piattaforma che consente un’esperienza di collaborazione in realtà mista, con diversi avatar 3D in uno spazio condiviso. Mesh è ovviamente diretta al mondo business, ma è ancora in fase di progettazione e la stessa Microsoft sta riducendo i fondi diretti ad altri progetti per concentrarsi su questo. Per quanto riguarda Fortnite, se non siete Gen Z o Alpha, è meglio soffermarsi un attimo. Parliamo ovviamente del celebre videogioco, che è assimilabile però a un vero e proprio mondo virtuale, con la possibilità, oltre a far saltare la testa degli alieni cattivi di turno, di creare e modificare le mappe. Sono anche presenti microtransazioni ed eventi live, tutti elementi che contribuiscono al successo di questo mondo virtuale videoludico.
Infine, l’ultima categoria analizzata prende in considerazione gli showrooming world (il 4% del totale), come Musee Dezentral. Si tratta di vere e proprie vetrine virtuali destinate all’esposizione, per esempio per opere d’arte di artisti e collezionisti, senza la possibilità di creazione da parte dell’utente e senza la presenza di un’economia interna. Se volete provare questo “metaverso molto light”, una visita a Musee Dezentral merita (no, purtroppo non potete entrare nella fontana).
I TIPI DI PROGETTI
Passiamo ora all’analisi dei progetti rivolti al Metaverso. Nonostante i lavori siano ancora decisamente in corso, gli investimenti sono tanti e in continua crescita. Dei 308 progetti censiti già citati nell’introduzione, sono state distinte le macro aree di investimento.
La maggioranza dei progetti è diretta ai settori di Retail e di Entertainment (che si dividono a metà la fetta del 60%). Poi ci sono progetti diretti al settore dell’IT (17%), Finance and Insurtech (9%) e Food & Beverage (5%). Questi progetti hanno diverse caratteristiche in comune. La maggior parte di loro è diretta a Brand Community, con attività di brand awareness o touchpoint per i consumatori per l’acquisto di prodotti. Esistono comunque anche progetti diretti ad attività di HR, che in futuro potranno sostenere colloqui e formazione. Per quanto riguarda la “visione strategica”, l’85% dei progetti è realizzato in modo da essere persistente nel tempo, mentre il 15% è costituito prevalentemente da eventi. L’interazione tra l’utente e il brand è puramente virtuale nell’82% dei casi, mentre il 18% guarda anche al collegamento con il mondo fisico (in prevalenza con sistemi di scontistica o accessi esclusivi ottenibili nei punti vendita).
Infine, le piattaforme più utilizzate nei progetti sono The Sandbox (43%), Decentraland (23%) e Roblox (15%), ovvero tre dei mondi più conosciuti e stabili. Inoltre, il 72% dei progetti utilizza piattaforme basate sulla blockchain e l’83% di questi prevede l’utilizzo di NFT (sentito, Mark?).
Dai dati si evince come la situazione sia dinamica, ma anche un po’ prematura. Lo stato di cantiere di molti mondi virtuali e, soprattutto, la mancanza di un’interconnettività effettiva non spingono a parlare di un vero e proprio Metaverso. Lo sviluppo però prosegue e non si vede il motivo per cui, a un certo punto, non si trovi una quadra e si colleghi tutta la baracca. D’altronde ce lo insegnano i nostri Stati nazionali: tante menti, una sola voce… giusto?