Nella Giornata Mondiale della Radio ci chiediamo: meglio Radio o Spotify?

13 Febbraio 2022
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Voi come la pensate? Siete abituali fruitori dello streaming tipo Spotify o preferite ancora la radio come principale suggeritore musicale?

Spotify se ne fotte e da tempo ha lanciato l’attacco alla radiofonia invadendo il suo regno storico: l’automobile. Nonostante ciò, esiste ancor una scuola di pensiero che non considera Spotify come una vera e propria emittente e per questo il grande successo della piattaforma non sarebbe commisurabile alla stregua di una radio qualsiasi.

Potrebbe essere vero se considerassimo Spotify non un editore o un broadcaster nella accezione classica del termine (anche se a ben vedere, Spotify si propone anche sotto la veste di “Radio”), ma come semplice SOD, ovvero fornitore di un servizio di Streaming On Demand che realizza playlist profilate ai gusti degli utenti che vi si affidano. Potremmo anche sostenere tutto il contrario però.

Spotify è il principale concorrente della radio

Solo un matto potrebbe non aver capito che Spotify è oggi il principale concorrente delle Emittenti Radiofoniche. A voler insistere sul contrario, si potrebbe correre il rischio di far la fine del mezzo televisivo che si attardò a considerare Netflix come principale competitor, ritenendolo in maniera troppo semplicistica un semplice SVOD, service video on demand, che nulla pensava potesse avere a che spartire con se stessa.

Sbagliato: Netflix ha cambiato rapidamente le abitudini dei telespettatori costringendo i broadcaster a mutare rapidamente le proprie strategie. La tv generalista vecchia e obsoleta ha capito che non può più competere con l’attività produttiva e di proposta in tema di fiction e film, ormai ad appannaggio prevalente di Netflix o similari (come Amazon Prime per esempio).

Meglio allora concentrarsi su sport, trasmissioni di approfondimento, intrattenimento informativo ed altri terreni. E non è un caso che durante i week end sempre meno persone guardino la tv e preferiscano la visione sequenziale di puntate disponibili su Netflix o Sky, fenomeno che sta cominciando a diventare rilevante anche nella fascia infrasettimanale che va dalle 21.30 alle 24.00.

Il dato ci dice che stanno scomparendo telespettatori che utilizzano la tv via etere per vedere i film, gli stessi film che entro cinque anni saranno una sorta di esclusiva ad appannaggio dell’On Demand.

La playlist che vince

Perché quindi la stessa cosa non potrebbe accadere alla radiofonia con Spotify?
Il rischio, se ci pensate bene, è lo stesso: Spotify ci rende disponibile la musica che preferiamo, già confezionata in playlist verticali con un occhio costante ai nostri gusti. Che differenze troviamo allora rispetto alla radio tradizionale? Al di là dei soliti sofismi di bandiera, in realtà poco o nulla: Spotify è un concorrente delle radio musicali e lo sarà sempre di più.

Ho letto recentemente di una intervista rilasciata da Lorenzo Suraci, Ceo di Rtl, e di alcune dichiarazioni dei vertici della BBC inglese in cui senza troppi indugi, si afferma candidamente quanto si consideri Spotify il principale antagonista. Se, pertanto, almeno per ora, la radio che fonda il suo layout editoriale sull’informazione, sullo sport e sull’intrattenimento potrebbe non correre rischi perché, al di là della proposta in podcast (che comunque Spotify sta potenziando), il SOD musicale non è un suo concorrente, certamente andranno adottate contromisure da chi ha il proprio baricentro sulla musica. E di corsa anche.

In attesa della “completa mutazione”, già alcuni poli radio si stanno rendendo “liquidi” sulla base delle scelte dei singoli utenti. Croenhit in Austria lo sta già facendo, l’avete mai sentita? Ma anche in Italia sono nati i primi modelli di bouquet in brand IP come quelli del nostro amico LolliRadio, United Music del gruppo Mediaset Radio o quelli del gruppo Gedi a cui appartengono Deejay, Capital e M2O.

Ormai tutti, chi più chi meno, paiono orientati verso questa soluzione: in America sto seguendo con interesse iHeart, che pare prenda spunto in maniera sensibile proprio da Spotify, in Francia NRJ, da sempre la radio transalpina più trendy, mentre in Italia anche Kiss Kiss e la stessa Rai sono ormai strutturati a livello verticale in maniera evidente.

Il rapporto dei giovani con la radio

La mia convinzione personale è che non sia vero che i giovani non ascoltano più la radio, ma che sia vero che non la sentono in FM. Recentemente ho notato che molti gamer di giovanissima età sfruttino bot per ascoltare radio on line mentre sono impegnati a giocare. Come dice Apicella, se mettiamo musica trap in un centro anziani non potremo pensare che nello stesso centro accorrano a ballare frotte di giovani.

Le ultime indagini di ascolto sulla radio stanno premiando in maniera sempre più convincente l’ibridizzazione della radiofonia soprattutto al fenomeno visual-radio. Ecco perché ora si tende a sfruttare marchi consolidati moltiplicandoli. Il multi brand bouquet si presta alla aggregazione in una unica applicazione che con un semplice click ti consente di passare da una radio all’altra dello stesso gruppo. Una soluzione perfetta per l’ascolto IP sulle automobili, dove il dettaglio della aggregazione fa la differenza.

Credete a me, ci troviamo nel bel mezzo di una rivoluzione. Oltre all’ancora indispensabile del FM, la multipiattaforma si mostra come una esigenza concreta ed immediata per la sopravvivenza della radio, oltre ovviamente agli altri carrier accessibili (IP, DTT, DAB+, sat, smart tv).

Ecco perché la verticalità del prodotto forse la salverà la radio da Spotify. Forse.

Via Redblue.it

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