Ormai la parola cultura fa rima con censura. E la colpa è dei social network

10 Maggio 2019
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Da Facebook a Torino, la cultura è censura: scriviamo pulito, giudichiamo le opinioni, insorgiamo per niente. Intanto gli unici liberi e incensurati sono i trapper, dai testi misogini e tossici

La cultura censura è scrivere online adottando un linguaggio scarno e moderato. Per non esser penalizzato da algoritmi e stregonerie varie che non vogliono farti dire parolacce anche se sei Dante Alighieri.

A loro va benissimo passarti dei disvalori tramite pubblicità fuorvianti, serie tv e canzoni discutibili. Va bene l’etichetta “explicit” nei brani dei rapper e dei trapper che scrivono testi da tossici di Trainspotting.

Ma non puoi mettere un nudo di Newton su Facebook. Non ci sono storie. Può essere un pene di Michelangelo ma non lo si può vedere su Instagram. I capezzoli maschili SI, quelli femminili No.

Non ho sentito molte femministe protestare a riguardo o disattivare il loro account (mi riferisco anche alla ex paladina Asia Argento ritratta a pugno chiuso e poi scaricata dal movimento perché forse ha avuto rapporti con un minorenne).

E allora tutti abbiamo appreso i trucchetti anti censura: seguendo le varie Emrata e Kim Khardashian oggi sappiamo postare foto ai limiti dei limiti, in cui si vede tutto tranne il capezzolo. Macchine orbe, dette algoritmi giudicano e decidono cosa è indecente o “inappropriato”.

Tutto è contraddizione, tutto è scivoloso.

Al Salone del Libro succede un gran caos per l’editore di Casapound, AltaForte, che era stato ammesso dal comitato di selezione ed è stato costretto ad abbandonare per le polemiche esplose sui social. Casapound è un movimento post fascista dichiarato che ha pure avuto la possibilità di partecipare, con scarsissimi, risultati alle elezioni. Insomma, è ritenuto democratico per il Parlamento italiano ma non per il Salone del Libro.

Perché Christian Raimo, Zerocalcare, la Murgia e chissà chi altro, poi vanno sui giornali e fanno un sacco di storie e tutti ne parlano e intanto aumentano i loro clic e poi la notizia deflagra, diventa una palla di cannone in corsa che brucia tutto e nessuno capisce da chi e da dove è stata lanciata. C’è solo il cratere che ha lasciato. E il fumo. Le macerie.

Sento gli intellettuali parlare di cultura, li sento difendere un’idea di cultura che è lontanissima dalla mia, una cultura che altro non è che una lista di giusto e sbagliato, in cui il confronto è solo scontro e vigono le opinioni trancianti.

Quando avevo quindici anni a scuola mi insegnavano che il diverso arricchisce, che il dialogo fa progedire. Oggi, solo vent’anni dopo, è tutto l’opposto. E non sono i buzzurri ad applicare la censura, sono gli intellettuali urloni sui giornali, sui social e le tv.

Christian Raimo! Christian Raimo, uno che esiste solo se c’è da far casino. Uno pronto a criticare la Bestia di Salvini ma che usa gli stessi metodi dinamitardi.

Christian Raimo scrittore sarebbe una roba da poco, ma Raimo polemista comincia a essere un titolo spendibile per accrescere il proprio charme sul mercato della cultura, per mettere il proprio nome sotto a un titolo. E di questo campa.

Quello che voglio dire è che anche il linguaggio, o la riflessione su di esso, ha ormai preso i tempi dell’online. Con la conseguenza che si è impoverito, che è come il web stesso, dove sembra che sia tutto libero e democratico, invece è continuamente imbavagliato e utilizzato per ricerche di mercato e vendite coatte.

Per carità Zuck & co. fanno il loro lavoro, ma i nostri intellettuali, oggi, possono definirsi tali?

Sapete qual è ancora l’unico luogo in cui la parola cultura potrebbe non fare schifo e non essere vittima della becera censura? La carta. Libri, riviste, fanzine. Solo li trovate della roba buona. E sulla carta si misura il valore di un intellettuale, su quello che scrive davvero e su come lo scrive, sul tiro e sulla presa che ha.

Raimo è fortissimo sui social ma faccio fatica a vederlo nelle antologie tra un secolo per i suoi lavori letterari. Se leggete Apuleio, Celine, Baudelaire, Pasolini, Sade, Shakespeare, potrete sentire tutti i registri linguistici conosciuti e sondare opinioni spesso al limite della sconvenienza. Potrete galvanizzarvi.

Se leggete Raimo su Fb al massimo potete fare like. Credo di aver detto tutto.

Uno potrebbe non essere presente sui social e fregarsene delle regole, ma il fatto è che quella americana è un’egemonia. Non esiste niente fuori da Google e da FB. Non ci sono più nemmeno i vecchi forum o gente che usa Linux. Il passo successivo sono connessioni VPN e un TOR per avere accesso al deep web, che altro non è che una rete di siti scarni e anni 90, con insidie ancora più grandi delle ricerche di mercato quali: pornografia illegale, truffe, esposizione alla pirateria.

Ci siete mai stati nel deep web? io ho varcato appena i suoi confini e mi sono impaurito, è tutto un mondo incomprensibile. La sensazione bruciante che hai è che almeno dentro FB sei in un posto conosciuto, con delle leggi proprie, in cui ti orienti.

Ci credo davvero: l’unica salvezza è la carta e l’editoria muore quando cerca di somigliare all’online.

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