L’inutilità del Pallone d’Oro, anche per i millennial
Nato nel 1956 per merito della rivista francese France Football, il Pallone d’Oro dimostra sempre più i suoi anni, destando sempre meno appeal anche tra i millennial, che hanno iniziato a interessarsi al calcio in piena epoca di dirette televisive e hanno modo di farsi l’idea di chi sia il più forte in base a quello che vedono e non più in base al sentito dire.
Il Pallone d’Oro arranca anche e soprattutto quest’anno che ha deciso – in maniera alquanto bizzarra – di non assegnare il trofeo, che sarebbe stato strameritato dal centravanti del Bayern Monaco Robert Lewandowski, il miglior giocatore della squadra che quest’anno ha vinto tutto quello che c’era da vincere.
L’anno di Robert Lewandowski
Per un ulteriore paradosso, Lewandowski non si è nemmeno aggiudicato la Scarpa d’Oro, che viene assegnata a chi ha ottenuto i miglior punteggio in base alle reti realizzate nel proprio campionato nazionale moltiplicate in base al coefficiente di difficoltà del campionato stesso. Un premio che avrebbe più senso se si calcolasse la media gol a partita e anche le reti realizzate nelle coppe europee.
L’attaccante polacco se ne sarà fatta ampiamente una ragione, pensando a tutti i trofei alzati quest’anno, quelli che contano davvero. Per la cronaca il vincitore della Scarpa d’Oro 2020 è stato il centravanti della Lazio Ciro Immobile.
Negli anni, inoltre, la credibilità e l’autorevolezza del Pallone d’Oro sono state minate dal sorgere di altri premi, come il The Best FIFA Men’s Player e il Global Soccer Awards: questi ultimi sono stati appena assegnati a Dubai, ed hanno indicato Cristiano Rolando miglior giocatore di questo secolo, così come il Pallone D’Oro ha puntato sui Dream Team, ovvero le tre squadre migliori di sempre in base ad uno schema alquanto teorico che prevede lo schema 3-4-3, ovvero tre difensori, quattro centrocampisti e quattro attaccanti.
Tutti i dubbi sul Pallone d’Oro
Tutto molto bello – avrebbe chiosato il telecronista d’antan Bruno Pizzul – ma assai poco realistico. Già in un precedente articolo avevamo scritto come i premi individuali in uno sport di squadra si prestino a dubbi o quantomeno a diverse chiavi di lettura: troppi i parametri che differiscono quando si deve individuale un singolo rispetto ad un team, troppi i criteri di valutazione soggettivi che in quanto tali lasciano troppi dubbi nell’individuare chi sia davvero il migliore.
Un quesito su tutti, ad esempio: si deve premiare il più forte in assoluto o quello che ha vinto di più? E tra chi ha vinto, come decide chi sia il migliore? Chi ha fatto più gol? O chi ha fatto davvero la differenza? Da qualunque prospettiva lo si veda, saranno sempre più le perplessità che le certezze. Basti pensare che giocatori come Andrés Iniesta e Andrea Pirlo il Pallone d’Oro non lo hanno mai vinto, giusto per citare due fuoriclasse che i millennial conoscono benissimo. Serve aggiungere altro?
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