Zeitgeist, congiunzioni astrali, essere al posto giusto al momento giusto. Per la musica tutto questo è avvenuto nel 1997.
Come altrimenti spiegare quanto accaduto nei primi sei mesi di quell’anno, quando uscirono quasi in sequenza gli album “Homework” dei Daft Punk (20 gennaio), “Dig Your Own Hole” dei Chemical Brothers (24 marzo) e “The Fat Of The Land” dei Prodigy (30 giugno)? Tre album millennial ancora attualissimi e che hanno rappresentato un vero e proprio spartiacque tra il prima e il dopo, per la musica elettronica e non soltanto per quella.
Già da qualche anno la dance – nell’accezione più vasta del termine – era un genere sempre più in ascesa per non dire dominante, un’onda lunga partita nella seconda metà degli anni ottanta con i rave e culminata tra il 1988 e il 1989 con la seconda Summer Of Love, che scelse Londra e poi Ibiza come propri luoghi d’elezione e i dj inglesi Danny Rampling, Nicky Holloway e Paul Oakenfold come massimi profeti. Stava per succedere qualcosa che avrebbe cambiato per sempre musica, clubbing, festival.
La nuova era dei Dj e il crossover
Tanti dischi prodotti e suonati dai dj iniziarono a compiere il cosiddetto crossover, ovvero diventarono brani in grado di scalare le classifiche di vendita di tutto il mondo, non più confinati in chart underground per non dire clandestine.
Era giunto il momento di prendersi tutte le rivincite del caso contro la Disco Demolition Night del 12 luglio 1979, quando al Comiskey Park di Chicago fu fatta esplodere una cassa piena di vinili di musica disco al grido di “disco sucks”: il tutto poi degenerò in sommossa e per le discoteche iniziò un’era non proprio memorabile.
Il rock tornò ad essere dominante, con il tempo i due generi avrebbero smesso di guardarsi in cagnesco e avrebbero iniziato a convivere se non a contaminarsi.
Il magico 1997: “Homework” dei Daft Punk
Torniamo al 1997. Come accennato, i primi a palesarsi furono i Daft Punk con il loro “Homework”: un album con hit dal primo all’ultimo brano, capace di consegnare al mito il duo francese, la cui allure è rimasta intatta nonostante il loro ultimo concerto sia datato 2007 e l’ultimo album sia uscito nel 2013. La notizia del loro scioglimento non ha fatto altro che consegnarli all’immortalità artistica.
Il 1997 dei The Chemical Brothers: “Dig Your Own Hole”
A marzo fu il turno di un altro duo, i britannici Chemical Brothers, appena tornati con il loto nuovo singolo “The Darkness That You Fear”. Se i Daft Punk hanno spesso e volentieri concentrato le loro attenzioni su synth e richiami agli anni settanta, i Chems sono invece più figli delle atmosfere psichedeliche post-rave, in grado di coinvolgere più generazioni e diverse classi sociali, senza per questo mai abdicare al loro credo musicale.
Il 1997 dei Prodigy, “The Fat Of The Land”
Last but not least, i Prodigy, che a giugno uscirono con il loro terzo album, il primo con frontaman quel Keith Flint, che poi sarebbe morto nel 2019, trovato senza vita nella sua abitazione di Dunmow. Il loro album del 1997 unisce punk, rock e techno, ovvero passato, presente e futuro della musica: un concentrato d’energia quasi mai sentito prima e che difficilmente si sarebbe riusciti a replicare.
Se nell’elettronica è mai esistita una tempesta perfetta, si è senza dubbio concretizzare nei primi sei mesi di 24 anni fa.
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