Siamo incantati dalla leggerezza anagrafica di chi conduce Voice of Italy. Quota millennial: quasi zero. Per la seconda puntata, stasera, ci aspettiamo Pippo Baudo

Al timone delle otto puntate di Voice of Italy 2019 c’è Simona Ventura, 54 anni. Brava, non c’è che dire. Una sicurezza, come Grisham per una libreria.

Sulle caldissime poltrone girevoli dei coach, però, spazio ai GGiovani: Gigi D’Alessio (52 anni), Elettra Lamborghini (24 anni), Morgan (46 anni) e Gué Pequeno (38 anni). Tocca a quest’ultimo, che è del 1980, rappresentare i millennial. Perché la Lambo… ok, è la Lambo.

La Lambo è una millennial, certo. E non è per niente stupida. Peccato che abbia costruito il suo personaggio su degli elementi che la faranno apparire, più che essere presente.

In ogni caso sono tutti artisti rispettabili e, per carità, capiamo che per il boss Carlo Freccero (71 anni, già genio della tv) si tratti di quattro sbarbati postadolescenti. Qualcuno gli dica che non è cosi, per favore.

E poi qualcuno gli dica anche che siamo nell’epoca in cui i 15enni hanno dato vita a uno star system musicale paralleno che va per i fatti suoi, su Youtube, su musical.ly e su Tik Tok.

E ditegli anche che è un periodo d’oro per la musica italiana che sforna rapper e trapper che piacciono a tutte le età. Piacciono a gente che un po’ si è rotta le balle di Jovanotti e Morgan. L’audience è composta gente che ha figli che in cuffia ascoltano italiani distopici alla Carl Brave, Achille Lauro e altri.

A Carlo Freccero fate sapere anche, se potete, che l’ultima edizione di Voice of UK, per esempio, è stata condotta da tre trentenni: Holly Willoughby, Reggie Yates, Marvin Humes.

E che, pur se tra i giudici c’era il quasi 80enne Sir Tom Jones (Bella nonno!), c’erano sei giudici millennial: dai 28 anni di Rita Ora ai 37 di Jennifer Hudson, passando per i 30something di Jesse J, Danny O’Donoghue, Paloma Faith e Olly Murs.

No, per dire.

E quindi. Veniamo a Gué Pequeno, l’unico portabandiera millennial. All’anagrafe è Cosimo Fini. Milanese, già produttore di Fedez (nel 2011 con l’etichetta Tanta Roba). Ha tutte le carte in regola. Testi colti, curiosità per le subculture, genitori giornalisti ormai lontani dal mondo dello spettacolo e quindi non sono stati particolarmente attivi nell’aiutare il figlio.

Con i Club Dogo ha segnato la seconda metà degli anni Zero. Tra le collaborazioni, ricordiamo quella con Giuliano Palma, che ha dato vita a PES, hit dell’estate 2012 e con il gruppo culturale situazionista Il Deboscio nel 2007 ha messo in musica Frangetta, feroce presa in giro delle rampanti post adolescenti finto intellettuali di Milano.

Contiamo su di lui perché ci fidiamo delle sue parole, generazionali nel midollo. Distopia e frustrazione, noia e paranoia, ansia, sogni vari e avariati.

Vedasi questa:

(Una volta sola testo Club Dogo)
Questa è la storia di un ragazzo che sa quanto vale
Lui vuole distinguersi dalla gente normale
Crescendo ha visto il meglio e il peggio
Vuole disegnare il futuro, sfidare il destino e fargli uno sfregio
Vede chi dentro è un re restare zitto e prendere sputi
E gli schiavi vestiti bene parlare, ma a lui sembrano muti
Tiene stretti i sogni e mantiene i pensieri crudi
Tra la folla mentre aspetta alla fermata troppo minuti
Con la musica vuole colpire menti e cuori
E dopo il morire vivere ancora come gli scrittori
L’anima pesa solo 21 grammi
Voler sollevare troppo può causare drammi
La svolta è figlia di sbattimento
Lui non fa smorfie false non ha bugie nelle tasche tiene ben alto il mento
Finché arriverà il momento, arriverà il suo tempo
E con le mani toccherà il firmamento

Probabile comunque che l’alchimia di Freccero sia tutt’altro che casuale. Probabile che sia l’unico modo per attrarre l’audience di 40-60enni che ancora hanno l’abitudine di pigiare il tasto del telecomando sui primi 7 canali.

Il solito pastone di mamma Rai pieno di dejà vu e figlioli ideali che in fondo se si fanno qualche canna non è niente di male, basta che non lo dicano, non lo cantino troppo e non lo diano a vedere.

Vedremo.

In fondo paghiamo il canone in bolletta, e mamma Rai paga Freccero a sufficienza perché questo tirex della tv italiana ci renda uno show Voice of Italy che non assomigli ai soliti bastoncini Findus buoni per un pubblico sdentato, che siano bambini o vecchi.

Nel frattempo la Rai ha piazzato le sue marchette in tutti i siti e tutti i giornali. Si deve sostenere il talent con tutto il Minculpop. Anche se a chiederlo sono personaggi sempre più fuori dal mondo. Capaci soltanto di servire piatti freddi e insipidi da più di un decennio, con un apice insopportabile nel periodo della presidenza di Carlo Verdelli. Che, dopo essersene uscito dalla Rai sbattendo la porta è diventato direttore di Repubblica e ha scritto un libro sputando sulla Rai. Bah.

Al di là delle vicende italiane un giorno ci dovremo anche chiedere se l’ideatore del format The Voice, John de Mol debba rispondere all’accusa di essere stato un manipolatore di masse. Oltre a questo talent show, che è tra i più visti al mondo e va in onda in 67 Paesi, la società ha monopolizzato il mercato dei reality show dai tempi del Grande Fratello (2000).

C’è qualche millennial in grado di affermare con certezza che nessun programma della De Mol ha avuto un minimo impatto sulla sua formazione di uomo adulto?

Forza Gué.

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