Arriva la settimana meat-free. Il millennial sano, dopo la pausa Covid-19 ritorna vegano?
Il boomer sguaina l’affettatrice.
Il Millennial osserva, “memando”.
La verdura e i ceci avanzano.
I Millennial flirtano con l’healthy-food, vale a dire con uno stile vegano o quantomeno vegetariano. Instagram, centinaia di food blogger e programmi di cucina fanno da angeli custodi e sacerdoti.
A pochi giorni dall’evento vegan per eccellenza, la settimana senza carne (meat free week), si scopre che in corrispondenza della pausa Covid-19 il veganesimo ha subito una battuta d’arresto. Ma anche che ora è c’è una rapida ripresa delle ricerche della parola vegan su Google. Il trend non soccombe e anche laddove non c’è sensibilità animalista, sicuramente c’è ancora la voglia di migliorare il proprio aspetto fisico per se stessi e per gli altri.
In tutti i casi, il Millennial medio del 2020 è più informato rispetto a prima sul mondo della nutrizione e le sue infinite sfumature.
Si stima che il 42% dei vegani abbia un’età compresa tra i 18 e i 40 anni, mentre solo il 14% superi i 65. Se così fosse, ma i dati non sono omogenei, quasi un millennial su due avrebbe adottato uno stile veg, o comunque desidererebbe farlo.
Comunque sia, il concept VEG è uno degli argomenti più controversi che dividono la Penisola, nonostante il progresso e nonostante gli innumerevoli documentari sullo spreco alimentare, gli allevamenti intensivi e la responsabilità delle flatulenze suine sul buco dell’ozono. Ma andiamo per gradi:
Siamo la patria delle polpette e degli arrosticini
QUINDI (nesso causale) i vegani sono degli sfigati traditori della patria e per questo vanno derisi ed emarginati come degli eretici spocchiosetti e buonisti.
È così che si fa con tutto ciò che di nuovo approda da noi, giusto?
La ragione dell’accettazione del fenomeno, più che risiedere su dati scientifici e statistici, si riversa, come di consueto, sul piano culturale.
Ormai è un classico sui social, la foto del barbecue con la didascalia “ciao vegani” … grasse risate (ndr).
Invece che soffermarsi sull’aspetto puramente etico della scelta e percorso veg, occorre più affrontare l’aspetto salutistico e green della questione. Nutrirci come si nutrivano i nostri genitori ci ha fatto bene? Ci fa bene? Possiamo mangiare tutti allo stesso modo solo perché “si fa così”?
La risposta è no.
Siamo uno di quei paesi che sovra-produce cibo e di conseguenza scarti. Questi scarti vanno smaltiti e logicamente, un chilo di carote ha un impatto ambientale diverso rispetto a un chilo di feci/ossa/fieno sporco/mangime/acqua sporca.
Il problema che il consumatore Millennial, oggi più responsabilizzato dalla pandemia, dovrebbe porsi nei prossimi 10 anni non è tanto se nutrirsi o meno di carne, bensì quanto spesso mangiarne e soprattutto quale tipo di carne mangiare.
Il cinghiale come preda di una battuta di caccia, ha paradossalmente un costo piuttosto esiguo rispetto alla costina di maiale da allevamento.
Il costo, infatti non è da intendersi esclusivamente dal punto di vista economico, ma ambientale, e sì, anche morale.
L’animale nato e cresciuto nel suo habitat, che si è cibato spontaneamente delle risorse del suo territorio, è di qualità molto superiore dell’animale nato e vissuto tutta la vita in un metro quadrato al chiuso. E ingozzato di mangimi, riempito di ormoni e di trattamenti all’ingrasso della bestia che è vista meramente come un prodotto in fase di trasformazione finale.
La più semplice tabella nutrizionale per un essere umano vivente in una città moderna riporta la necessità di mangiare carne una, massimo due volte a settimana.
Quando si parla di carne si intende preferibilmente quella bianca, quella rossa è additata da tutti gli oncologi come una delle con-cause maggiori di tumori e malattie cardio-vascolari.
Gli insaccati e i prodotti caseari, poi, sono tutte cose in più, non previste dalla nostra alimentazione ma che fanno parte della nostra cultura. Si sono affermati nelle nostre usanze e nel nostro fabbisogno mentale ma in realtà non abbiamo alcuna necessità, se non quella di appagare le papille gustative e l’orgoglio di nonna Gigetta.
Il latte di mucca ha le proprietà e i grassi per trasformare un vitello in bovino adulto e sicuramente ha anche le proprietà necessarie al sostentamento di un essere umano… purché viva e lavori all’aperto nelle Alpi Carniche, a gennaio.
Ma noi Millennial lettori di blog e dediti alla scrittura, impiegati o addetti frenetici della città o della provincia, necessitiamo di questi apporti calorici?
L’esperienza della fonduta e della salsiccia che al rifugio dopo una scarpinata a 3mila metri di altezza ha ragione di esistere, ma è sostenibile mangiare così tutti i giorni, dopo 8 ore di ufficio o scuola?
Il ringraziamento che dobbiamo fare ai Veg non è tanto quello di averci sensibilizzato sulle condizioni degli animali negli stabilimenti, quanto ad aver contribuito a introdurre sulle nostre tavole alcune varianti delle ricette e materie prime che hanno alleggerito le calorie allo stesso tempo arricchito con gusti nuovi e la nostra gastronomia.
Quinoa, curcuma, falafel, hummus, tofu ,soja, seitan… sino a dieci anni fa erano parole che non avevano nessun senso. Oggi sono conosciute e anche dai grandi chef italiani che, consci del trend bio-veg-salutista hanno iniziato a sperimentare cambiamenti delle ricette tradizionali in modo da renderle più leggere e sostenibili.
Del resto c’è bisogno di tempo e la storia dei costumi insegna: cucinare senza burro per i nostri nonni, soprattutto padani era inammissibile. Eppure oggi la maggior parte di noi lo evita o fa molta attenzione ad usarlo.
Chiunque abbia provato a smettere o anche solo ridurre il consumo di latte e latticini ne ha tratto benefici.
Per quanto riguarda invece il concept veg , è probabilmente stato un grosso errore da parte delle organizzazioni animaliste e attiviste imporsi a una società poco informata in una maniera aggressiva e arbitraria.
Quando si pensa ai vegani il nostro cervello in automatico ci proietta atti vandalici nei negozi, oppure video horror dai contenuti crudeli condivisi sui social per testimoniare la non-vita degli animali negli allevamenti intensivi.
La realtà è che queste campagne shock, insieme ai classici epiteti tipo “mangiacadaveri” – “che differenza c’è tra tuo figlio e un agnello?” ecc. ci hanno dissuaso per anni dal mettere piede in un ristorante vegano perché considerato un ambiente di estremisti, una specie di ISIS che però condivide animali carini e coccolosi.
Con il pragmatismo che dovrà contraddistinguere l’ascesa definitiva al potere dei Millennial, bisognerà trovare equilibri nuovi. Capire che la cucina veg è davvero ricca di gusti, consistenze e ricette squisite che tutti dovremo provare almeno una volta nella vita.
Privarcene soltanto perché va di moda ridicolizzare ciò che ci farebbe risultare degli sfigati è ancor più da sfigati. Ma soprattutto è un vero peccato per noi, per l’ambiente, per i nostri figli.
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