Millennial single che sbirciano la vita dal tram e mangiano il ragù della nonna. Come La Miranda
Il mio capo mi ha detto che devo ricominciare a scrivere. Anzi per essere precisi mi ha detto che non scrivo più perché ho un blocco: non mi sento all’altezza.
Può darsi che abbia ragione. Tutto sommato io non sono né una giornalista né una scrittrice.
Oddio a voler essere pignoli da piccola, presa dall’onda femminista di Piccole Donne che mia mamma e mia zia mi facevano vedere e leggere in loop, volevo fare la scrittrice come Jo March.
E sempre per essere sincera sognavo anche io qualcuno che mi dicesse «Jo un nome così piccolo per una persona così grande» (dovete assolutamente leggerlo con cadenza tedesca o non vale).
Ah Winona Ryder quante volte ho immaginato di essere te.
Dopo questa breve sintesi sui miei sogni adolescenziali torniamo alla cruda e triste realtà: ho trent’anni, sono una millennial single, faccio comunicazione, credo fortemente nella potenza delle parole e il massimo che ultimamente mi sento dire è: «Ele posso lasciarti il cane?».
Anche perché siamo onesti, Elena non è “un nome così piccolo”.
Bando alle ciance, sto tergiversando.
Devo scrivere di qualcosa, anzi vorrei essere ancora in grado di scrivere. Devo spremere le meningi.
Così questa sera, sola in casa, mentre mangio la pasta con il ragù scongelato di mia nonna (divino) ho provato a pensare a qualcosa di cui parlare.
Un argomento semplice, che faccia presa su chi legge.
Il mio punto di vista
Potrei scrivere del Friday for Future, della festa dei nonni, della giornata della salute mentale o di tecnologia.
Il mio capo dice sempre che devi metterci del tuo in quello che scrivi, devi dare una linea diversa e originale. «Trova il tuo punto di vista, non fare l’impiegata del copywriting».
Ecco su tutti questi argomenti sopracitati non trovo un mio punto di vista. O meglio in realtà ho un punto di vista ma rischierei di cadere nel banale e non c’è cosa che odio di più al mondo della banalità.
Io, la Marti, la Caro e la Bea
D’altronde come dice sempre il mio capo io sono una millennial fatta e finita. Neo trentenne, single, vivo da sola, mangio avocado in tutte le salse, ho un gruppo di amiche tutte trentenni single con cui mi diverto molto il venerdì e il sabato sera: la Marti, la Caro e la Bea.
Sì, lo so che tutte queste abbreviazioni di nomi ci rendono le perfette protagoniste di uno dei romanzi di Federico Moccia.
Dei millennial abbiamo l’ansia, gli sbattimenti, il nervosismo, la voglia di scappare di casa e vivere da sole.
Abbiamo l’egocentrismo, le extrasistoli, la repulsione verso qualsiasi tipo di rapporto serio e duraturo, parliamo di sesso con una grande facilità e disinibizione e proviamo grande amore per il vino rosso e il gin tonic.
Insomma viviamo serenamente.
Di dolore, di tram e tramonti
Ma sento che sto perdendo di vista il vero punto della questione: cosa scrivo?
In realtà io sono brava a scrivere di me stessa (millennial egoriferita): scrivo di dolore, di ansia, di tramonti milanesi molto colorati e di tram. Di persone che fioriscono e di colori che esplodono all’improvviso come un temporale estivo.
Così in questa serata in solitaria nella mia casetta mi è venuto in mente che molto tempo fa ho scritto una storia su un tram, uno di quelli vecchi che vedi solo a Milano.
L’ho soprannominato il tram degli speranzosi.
L’avevo scritta per me e per quei pochi follower che ho su Instagram che ogni tanto si devono cuccare i miei pipponi esistenziali sotto le foto.
Ho deciso che la renderò pubblica perché forse tutti abbiamo bisogno di un tram di speranzosi.
“Take it easy esce dalle cuffiette del mio telefono. Salgo, mi guardo in giro e mi siedo nel mio posto preferito, quello all’estremità dove puoi appoggiare il gomito. Una delle cose che mi rilassa di più è salire sui tram, quelli di una volta che ci mettono 45 minuti per portarti in posti raggiungibili in cinque con la metropolitana.
Mi piace guardare la città e le persone che mi passano davanti. Non solo i millennial single: c’è la signora asiatica con la fronte corrugata che guarda male tutti, soprattutto una ragazza con la gonna che lascia ben poco all’immaginazione. La bionda di fianco a me guarda i Tudor sul telefono: Enrico VIII flirta per la prima volta con Anna Bolena. Peccato che la povera Anna avrà vita breve.
La sciura e la tintura
La coppia di anziani davanti a me è l’unica che non ha in mano un telefono, parlano, si guardano e hanno un linguaggio del corpo bellissimo. Ci sono le due sciure milanesi, pelliccia e capelli di un biondo tinto che cerca di nascondere l’età. La ragazza mora sorride guardando lo schermo del telefono e subito mi domando perché lo stia facendo, cosa ci sia dentro quel sorriso: un fidanzato o la mamma che ha preparato le lasagne per cena?
Cenisio, Sempione, Arco della Pace, Piazzale Baracca fanno da sfondo a tutti questi visi e a queste storie che mi piace immaginare. Dalle cuffie del mio telefono Nina Simone ci tiene a farmi sapere che «it’s a new dawn, it’s a new day, it’s a new life and I’m feeling good».
No Nina, oggi non è nessun new day, nessuna new life e faccio abbastanza fatica a feeling good.
Piazza 24 Maggio, sono arrivata.
Aspetto che tutti scendano, lancio un’ultima occhiata al tram, mi viene da sorridere e vado. L’ho soprannominato il tram degli speranzosi.
O forse di speranzoso oggi su quel tram ci sono solo io che muovo il piede a ritmo di Fool in The Rain e che cerco la mia new dawn.
In ufficio mi chiamano La Miranda perché dicono che sono severa ed esigente come il diavolo che vestiva Prada. In realtà sono anche una grande stacanovista che porta sempre a termine il proprio lavoro.
Oggi ho scritto, finalmente, e credo che chiamerò questa nuova rubrichetta (che sembra un blog di una presa male) La Miranda scrive. Non ho idea di cosa parlerò nelle prossime puntate, forse vi racconterò di quelle quattro amiche millennial single, trentenni con le extrasistoli.
Chi lo sa.
Intanto salite insieme a me sul tram degli speranzosi con i Led Zeppelin e Nina Simone in sottofondo che non fa mai male.
Scusa bossy, i know.
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