Natale è da sempre tempo di bilanci famigliari, difficile per chi non ha o non sente degli affetti sicuri.
Dal lockdown l’impossibilità di vedere i genitori e i parenti ha fatto trovare in alcuni delle modalità migliori per vederli ogni tanto, in maniera più autentica e più affettuosa. L’obbligo di visita ai famigliari è ciò che di meno spontaneo può esserci nelle relazioni affettive, a partire dai figli dei genitori separati e anche il festeggiamento dovrebbe corrispondere a un reale desiderio di farlo.
Certo, è giusto avere anche delle convenzioni sociali, delle regole di comportamento nelle relazioni, ma non sarebbe altrettanto consono rinegoziare ogni anno il proprio modo di festeggiare il Natale? L’amore per il Natale dipende anche da che bambini si è stati e dai ricordi famigliari. Riporto a questo proposito uno stralcio di una seduta prenatalizia.
Il Grinch che odia il Natale
«I miei ricordi del giorno di Natale sono dei grandi litigi tra i miei genitori ai quali io assistevo avvilita, in silenzio. Non sopportavano i reciproci parenti e, anche se si era già deciso da chi andare, il conflitto andava avanti per giorni. Diciamo che non era nuova quell’atmosfera in casa, anche nel restante periodo dell’anno. Mio padre scoppiava di rabbia spesso per motivi futili, forse per i suoi traumi familiari, come avrei scoperto nella mia precedente analisi, ma a 7 anni non lo potevo sapere, avevo paura e basta».
«Mia madre, probabilmente per il suo passato di povertà, iniziava a infiocchettare la casa a fine novembre, comprava ogni anno delle nuove decorazioni e c’erano pacchetti e pacchettini per tutti, preparati accuratamente con fiocchi e carte di ogni colore, troppi. Io, a parte un anno la bicicletta a cui tenevo, non amavo particolarmente ricevere regali, quasi mi infastidivano, era inscatolare e nascondere in un bel pacchetto quell’inferno di urla e di silenzio di quella casa».
…Odiare il Natale a New York
«E adesso mi definisco, ridendo, il “Grinch”, letteralmente Odio il Natale. Quando inizio a vedere tutte le decorazioni e qui a New York è un delirio da questo punto di vista, mi viene il mal umore e il culmine lo raggiungo quando sono costretta a fare l’albero, visto che Alex, il figlio del mio compagno, viene sempre qualche giorno a Natale da noi. Appena finisco di decorarlo il mio umore crolla a picco, non vedo l’ora di disfarlo e vorrei che una teleferica mi traghettasse direttamente al 7 gennaio, perché anche la Befana non la sopporto, se mi capita di essere in Italia».
«Comunque ogni luogo con decorazioni natalizie è per me insopportabile, rimpiango gli anni di singletudine quando andavo a fare il Natale al caldo, anche se stavo male lo stesso perché mi sentivo sola come un cane… Ma la cosa in assoluto più difficile per me è fare Natale per un bambino, fare i regali, fare finta di essere contenta. Forse è per questo che non ho avuto figli, sì sarà stato anche il caso, ma l’idea che qualcuno potesse passare quello che ho passato io mi sembrava inaccettabile. E così anche quest’anno farò buon viso a cattivo gioco, almeno fino a quando Alex non sarà adolescente, non manca molto e allora spero che non crederà più in questo dannato Babbo Natale…».
Irene Muller è una professionista che insieme alla collega Clara Giannarelli, grazie alla loro ventennale esperienza in consulenza psicologica e psicoterapia, hanno dato vita a Psicoterapeute all’estero, un servizio di supporto online (www.psicoterapeuteallestero.com), pensato proprio per tutti gli Expat italiani residenti all’estero o che si trovano spesso a viaggiare o a risiedere all’estero per lunghi periodi, per motivi di lavoro o di studio.