Vi spiego perché le scelte che vengono fatte e la classifica stilata hanno poco a che fare con la musica ma è tutta politica.
Sembra l’inizio di una barzelletta ma ero a una festa con due portoghesi, due polacchi, uno sloveno, un francese e un tedesco e abbiamo guardato insieme l’Eurovision 2020.
Ora io non scrivo mai di politica né tantomeno di musica quindi tutto ciò che verrà di seguito non sono parole mie ma degli altri ragazzi, tutti millennial, con cui ho guardato la premiazione.
Non dico che in un mondo utopico l’Italia non avrebbe vinto grazie al brano in gara e, solo per un attimo, proviamo a togliere dall’equazione la musica nello stilare la classifica e pensiamola solo in termini politici.
Brexit e simili
«Looks at the UK ahahah definitely is the brexit!». L’UK è in fondo, con 0 punti in classifica, in un concorso che si chiama EUROvision, proprio l’anno in cui è uscita dall’Europa, coincidenze?
La Turchia sappiamo che ha delle tensioni enormi con l’Europa, guarda caso in finale non ci è arrivata nemmeno.
L’erba del vicino
Nel dare i voti agli altri paesi, forse, l’essere di parte è ancora più evidente, Cipro ha dato i punti alla Grecia e viceversa. La Francia prende voti da tutti gli stati con cui confina, la Russia dona i suoi alla Moldavia, la Macedonia alla Serbia, mica, che ne so, per dire, alla Grecia.
Forse possiamo giustificare alcune scelte perché essendo paesi vicini hanno gusti musicali vicini?
Non vi commento ogni assegnazione dei punti, in alcuni casi forse anche non politica, come il Portogallo che dà punti alla Bulgaria e li riceve dalla Repubblica Ceca, quindi procediamo.
Chi vince l’Eurovision?
Vi faccio presente che, sarà pure per semplicità linguistica, in classifica e nelle postazioni sotto il palco vengono presentati i paesi e non i cantanti, sono gli stati a vincere non la canzone, è una differenza semantica sostanziale.
Mentre il ragazzo sloveno va a vedere le quote per scommettere come fosse una partita di calcio (e l’Italia e la Francia risultano favorite) il ragazzo portoghese ci racconta dell’Eurovision di Lisbona a cui ha partecipato nel 2018. Lo sforzo economico che il paese ospitante la gara deve affrontare è enorme, forse anche più di quello che viene impiegato da noi per la macchina di Sanremo; le scenografie sono enormi e sfarzose, non esattamente una cosa da poco.
Qui il francese interviene con la sua teoria per cui «la Francia manda sempre quelli scarsi perché non ha sbatti* di vincere ed organizzare, troppi soldi».
*forse ha detto «don’t give a fuck» non sbatti.
Vi faccio presente che, in finale, tutti gli altri europei con me erano disinteressati e fuori dalla classifica tranne appunto il francese. Quindi eravamo praticamente spettatori inermi.
Vince l’Italia.
«Ahahahah that’s Draghi» dice il portoghese «is definitely about politics and not music» esordisce qualcuno.
Nessuno vuole qui togliere nulla ai Måneskin, complimenti a loro, all’essersi autocensurati. Sicuramente il sistema del teleffotto è infallibile, anche se poi tutti votano i vicini di casa simpatici e non quelli antipatici; però guarda caso in Italia ora c’è Mario Draghi, con tutto il suo peso europeo. Guarda caso vince un gruppo LGBTQXYZ+ orientented e non poco, mica una «bella bionda» come l’albanese Anxhela Peristeri o la croata Albina che fa felice molti maschilisti.
Quindi complimenti a Draghi per aver portato l’Eurovision in Italia che sarà una prova di forza per il paese, seconda solo all’EXPO. Tanto il testo all’estero mica lo capiscono.
Tanto qua quelli zitti e buoni siamo noi che abbiamo permesso un evento del genere, facendo per altro partecipare un paese che mentre canta bombarda e stermina il popolo palestinese.**
**Tutte le riflessioni politiche, eccetto l’ultima, scritte sopra, non sono dell’autore del pezzo che si è limitato a raccogliere le discussioni avvenute durante la visione della premiazione, a caldo.
Foto in cortina: Eurovision
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