Ferrari, il film, in uscita negli Stati Uniti accusato di eccesso di propaganda di valori maschili
Adam Driver è un uomo spinto dall’abilità artigianale e dall’ego nel creare il successo nonostante il periodo storico e Michael Mann l’ha disegnato così, in barba al politicamente corretto
Con Ferrari, il regista Michael Mann apre il cofano e cerca il segreto, o il difetto: il viaggio di un uomo verso lo status di icona in un periodo storico turbolento. Attraverso un protagonista fragile, l’audace autore esplora molti dei suoi temi preferiti sull’identità maschile: competenze tecniche, punti di forza e vulnerabilità dei maschi nelle relazioni con le donne. Poi com’era auspicabile, sequenze d’azione avvincenti che ci fanno sentire al posto di guida di un glorioso bolide rosso corsa.
La storia di Enzo Ferrari
Un tempo pilota automobilistico, Enzo Ferrari (Adam Driver) sta attraversando un periodo difficile come imprenditore. Nel 1947 ha aperto una fabbrica tra le macerie dell’Italia del Dopoguerra con sua moglie Laura (Penélope Cruz ). Ma la loro attività di produzione di auto sportive è sull’orlo del collasso. Anche il loro matrimonio lo è, a causa della recente morte del figlio Dino a 24 anni, malato di distrofia di Duchenne.
Enzo inoltre ha una seconda vita, una storia parallela con l’amante Lina Lardi (Shailene Woodley) e il loro piccolo, Piero (Giuseppe Festinese). La sua irritante madre Adalgisa (Daniela Piperno) è crudele e dice: «È morto il figlio sbagliato».
Il direttore aziendale Cuoghi (Giuseppe Bonifati) avvisa Enzo che se non trova presto un investitore, andrà in bancarotta. Una partnership con un’altra azienda gli avrebbe permesso di portare avanti la sua ossessione di creare l’auto da corsa perfetta producendo allo stesso tempo centinaia di auto di consumo. Tuttavia, per attirare la capitale deve prendere il controllo delle azioni di Laura, oltre a vincere la Mille Miglia una corsa ad alta pressione attraverso la campagna italiana. E anche se potesse, è reticente a cedere qualsiasi potere a un’altra società. Inoltre sta introducendo un nuovo pilota testardo, Alfonso De Portago (Gabriel Leone), e affrontando una battaglia con Laura, il cui dolore è diventato rabbia corrosiva.
Un plot di rabbia e di rivalsa
Esplorare il territorio tracciato da Mann e dallo sceneggiatore Troy Kennedy Martin è profondamente affascinante. L’adattamento del romanzo di Brock Yates Enzo Ferrari: The Man, The Cars, The Races, The Machine inizia con il senso di perdita, che consente a Enzo Ferrari di sperimentare un’ascesa calibrata con precisione nel corso del film.
La costruzione del personaggio rivela un uomo dicotomico che insegue il mito della perfezione nella sua carriera professionale mentre la sua vita personale è una palude malsana. Il film percorre una via di fuga dal rischio agiografico e stereotipico, poiché emerge la fragilità umana e le debolezze di Ferrari senza romanticizzarle.
C’è tutto il tempo per svelare le macchinazioni interne del nostro eroe, dall’auto-sabotaggio della sua azienda e della sua vita personale fino al senso di colpa e al dolore generati dalla morte dei suoi affetti. Mann e soci approfondiscono brillantemente il modo in cui questo dolore inquietante influisce sui suoi rapporti con i vivi. Enzo alza muri, spesso trattando freddamente i rapporti, come fossero problemi di ingegneria da risolvere su una delle sue ruggenti Ferrari, o considerando i piloti solo come un altro ingranaggio della macchina. Ognuna delle relazioni con le donne della sua vita riflette una lotta diversa: con Lina lotta con le sue emozioni. Combatte con Laura per gli affari. E il conflitto con la madre ha a che fare con il suo ego.
Artigianato tecnico
Erik Messerschmidt adotta un approccio pittorico per catturare i tre mondi drasticamente diversi in cui vive Enzo. Li personalizza di sfumature, sia che ci troviamo nel rilassante santuario di casa Lardi, tra le pareti delle umide stanze della Ferrari, o che sentiamo l’adrenalina della pista. Tutto questo funziona in coro con la perfetta scenografia di Maria Djurkovic, con le sue distinte tavolozze di colori che esaltano la struttura del personaggio, e la colonna sonora di Daniel Pemberton, che è sia sinfonica che percussiva, aiutata da composizioni di Lisa Gerrard e Pieter Bourke.
Driver è ottimo nei panni di Enzo: coglie l’alta statura e la fisicità equilibrata della figura, ma evidenzia gli aspetti nascosti nella psiche. È un agile interprete nella danza coreografica tra le sue azioni e una forte messa in scena. Sia la performance che le inquadrature evocano una risposta emotiva. Penelope Cruz si esibisce in un lavoro imponente, quasi rubando il film al suo protagonista. Sebbene abbia già interpretato il ruolo di una moglie felice e poi scontenta, riempie le battute di questo personaggio irascibile con colori e sfumature unici. Woodley, un’attrice capace ma sfortunata, è messa in ombra, mostrandosi poco avvincente al di fuori della necessità narrativa.
Ma Patrick Dempsey che ci fa qui?
Il film è spesso cupamente divertente poiché i personaggi si lanciano frecciatine a vicenda. Una durata maggiore avrebbe però aggiustato l’equilibrio tra azione e narrazione. Inoltre, non è proprio ciò che il pubblico si aspetta da Mann, pur con il suo solido elenco di ruoli secondari. Per esempio, Patrick Dempsey nei panni del pilota della Ferrari Piero Taruffi è sorprendentemente sprecato