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La sanità è in mano ai “vecchi” ma il coronavirus potrebbe cambiare tutto

29 Novembre 2020
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Il Sistema sanitario nazionale italiano è pieno zeppo di personale molto esperto ma poco giovane.

Medici, infermieri, dentisti, veterinari, tutti insomma, sono in maggioranza non millennial. Almeno a proposito del personale con il contratto a tempo indeterminato. Secondo le statistiche del ministero della Salute – analizzate da TrueNumbersquelli che lavorano nelle aziende ospedaliere hanno in media 51,6 anni, quelli delle Asl 53. In generale il 64,7% di essi supera la soglia dei 50 anni. E come si vede dall’infografica solo l’11,3% ne ha meno di 40, con il 23,9% che è tra i 40 e i 49.

I medici in Italia sono vecchi

In questo caso oltre alla carenza di nuove leve, per il numero limitato di posti nelle specialità, influisce anche un’età di pensionamento molto alta. Non a caso il 23,6% dei medici ha tra 60 e 64 anni, e il 4,4% oltre i 65. E sono tanti quelli che scelgono di rimanere anche in tarda età a esercitare la professione.

Metà dei medici ha più di 16 anni di anzianità. Ma non di soli medici è composto il personale del Sistema Sanitario Nazionale. Sui 629.512, questi erano nel 2017 solo 104.979. Vi sono naturalmente anche gli infermieri, 263.232, e poi tecnici, amministrativi, veterinari, dirigenti, ecc.

E spesso questi sono anche più anziani dei medici, tra i veterinari per esempio l’87,8% hanno più di 50 anni, ben il 51% tra i 50 e i 59 anni. Tra i dirigenti i 50enni sono il 67,4%e il 15,8% ne ha 60 o più. Tra i tecnici sanitari la percentuale degli over 50 è simile a quella presente tra i medici, ma ci sono più under 40.

Gli infermieri sono più giovani

Solo il 7,8% degli infermieri ha più i 60 anni, mentre per esempio si raggiunge il 41,7% tra i psicologi, il 40,5% tra i chimici, il 38,6% tra i biologi, il 36,7% tra i veterinari. Nel complesso il dato che colpisce è che sono di più i dipendenti del Sistema Sanitario Nazionale che hanno più di 65 anni di quelli che ne hanno meno di 30, 1,98% contro 1,95%.

Vi sono addirittura sette categorie in cui non sono presenti under 30, si tratta di quelle degli odontoiatri, dei biologi, dei chimici, dei farmacisti che dipendono dal Servizio sanitario nazionale.

Bisogna, comunque, segnalare che queste statistiche riguardano solo il personale dirigente e quello a tempo indeterminato. È chiaro che visto che negli ultimi anni si è fatto un uso molto ampio dei contratti a tempo determinato, quasi solo in caso di assunzione di giovani, quelli tra questi a tempo indeterminato si rivelano essere pochissimi.

La precarietà, infatti, che colpisce tutto il mondo del lavoro è entrata anche nel mondo della sanità. E anche nella sanità ha lo stesso effetto, quello di svantaggiare i più giovani, che in caso di tagli avendo contratti a termine sono i primi a essere sacrificati. Forse però in seguito alla pandemia grazie al flusso di denaro in arrivo nel settore un aggiustamento nei prossimi anni potremmo vederlo. Quindi Gen Z e millennial, le cose non possono che migliorare.

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